Nella città etnea un reparto avanzato permette terapie oncologiche tramite fasci di protoni, la cosiddetta protonterapia. Ma la burocrazia ostacola l'accesso a un finanziamento europeo che amplierebbe i servizi ai malati
Curare i tumori con una terapia sperimentale Il progetto all’avanguardia bloccato dalla burocrazia
Combattere i tumori all’occhio con una percentuale di guarigione di oltre il 90 per cento e con una ricaduta nella malattia di solo il cinque per cento rispetto alla radioterapia, in cui la recidiva può essere anche del 50 per cento. Sono questi i risultati della cura oncologica tramite fasci di protoni – protonterapia -, una procedura che si può fare solo in tre centri in Italia: Trento, Pavia (da poco attiva) e Catania. Già dal 2003 in Sicilia si opera in questo campo, «ma se Pavia e Trento hanno dei centri specializzati, nella città dell’Etna la terapia è limitata ai periodi in cui la macchina nucleare di fasci di protoni non è impegnata nelle ricerche dei fisici, ovvero sei settimane l’anno», spiega Giuseppe Scuderi, imprenditore e presidente provinciale di Apindustria.
Sono oltre 300 i pazienti che con questa cura innovativa in undici anni di applicazione hanno trovato la guarigione nei Laboratori nazionali del Sud dell’Istituto di fisica nucleare. Non solo fa regredire il tumore nell’occhio fino alla scomparsa, ma essendo una procedura mirata sulle cellule cancerogene che diventano bersagli, pochi sono gli effetti collaterali. La protonterapia (o adroterapia) è indicata per patologie oncologiche altrimenti non trattabili, come il nervo ottico, il cervello, la spina dorsale e il polmone, ed è particolarmente indicata per i tumori nei bambini perché colpisce solo i tessuti malati e non pregiudica il normale accrescimento di altri organi. «La qualità della vita del malato migliora sensibilmente – afferma Scuderi – non ha più una sensazione di malessere generale, per esempio, si evita anche la caduta dei capelli e l’indebolimento di ossa e unghie». Non solo. «Il costo del trattamento per un malato con radioterapia può arrivare a 200mila euro mentre con la protonterapia la cifra si abbatte di parecchio, fino a 18mila euro a paziente».
Questa cura si sta diffondendo sempre più in tutto il mondo e potrebbe portare notevoli benefici in ambito medico. Eppure il numero di pazienti trattati a Catania in questi anni è abbastanza ridotto, come ristretta all’occhio è la capacità d’azione. Due i fattori determinanti: da una parte la disponibilità della macchina, dall’altro la potenza della stessa. «L’acceleratore di Catania raggiunge una potenza massima di 60 Mev, ovvero megaelettronvolt che sono pari a un milione di elettronvolt. Una potenza limitata che fa sì che possiamo intervenire sono per i tumori più in superficie dell’occhio e non per tutte le tipologie. Per gli altri casi avremmo bisogno di una potenza di almeno 230 mev», sottolinea Scuderi. E sulla base dei risultati eccellenti e del risparmio costante, nel 2012 si voleva realizzare un progetto di creazione di un centro operativo specializzato nell’azienda ospedaliera Cannizzaro.
Sono circa 1600 ogni anno i pazienti provenienti da tutto il Sud Italia che potrebbero beneficiarne. Come spesso accade, però, la burocrazia vince sui bisogni reali e a oggi non solo non è stato costruito o è in via di costruzione il centro di protonterapia, ma nemmeno la gara è stata assegnata. Così, ciò che doveva essere pronto in 24 mesi dall’aggiudicazione dell’appalto, secondo quanto si legge sul bando stesso, non ha più tempi di riferimento. Eppure non è soltanto un problema economico, dato che il progetto sarebbe solo in parte a carico delle amministrazioni locali e nazionali e si tratta di un cofinanziamento dell’Unione europea per un totale di 112 milioni di euro. Di questi soldi, poco più di 29 milioni (il 26 per cento) arrivano dal contributo comunitario del Fesr, programma operativo fondo europeo per lo sviluppo regionale; circa 37 milioni (33 per cento) da fondi nazionali e dieci milioni (nove per cento) regionali, con quasi quattro milioni dalla stessa azienda ospedaliera. Il restante investimento, di poco più di 32 milioni, sarà a carico del soggetto aggiudicatario.
Oggi è tutto fermo, però, perché «siamo di nuovo di fronte a una burocrazia inefficiente e per nulla attenta – commenta Giuseppe Scuderi – Non è normale che a bloccare tutto siano le richieste assurde e illegittime della Regione che vuole che i privati che partecipano alla gara d’appalto siano in grado di garantire fideiussioni bancarie per l’intero importo del progetto». Troppe le garanzie richieste che avrebbero fatto sì che nessuno si sia presentato. «Se il percorso è molto avanti negli Usa, dove non esiste un sistema sanitario pubblico, vuol dire che ci si può guadagnare sotto tutti i punti di vista. Sarebbe bene approfittare dei fondi europei, perché l’eccellenza che già abbiamo sia incentivata piuttosto che ridotta», conclude Scuderi.