Se la foresta di Sherwood si trasferisce all’Assemblea regionale siciliana!

COSA E CHI C’E’ DIETRO L’ATTACCO ALLE PENSIONI DEI REGIONALI

di Francesco Busalacchi

E così, invece della foresta di Birnham, si è mossa la foresta di Sherwood, teatro delle leggendarie gesta di Robin Hood, e si è trasferita all’Assemblea regionale siciliana, dove un nuovo e più determinato eroe ha intrapreso un sacrosanta crociata contro i ricchi per strappare loro il maltolto e ridistribuirlo ai poveri.

E chi saranno mai questi ricchi? Noi, i pensionati d’oro della Regione, un manipolo scellerato che tanti anni fa, di seguito all’emanazione della legge 10/2000 sulla dirigenza, con la minaccia delle armi costrinse la Giunta regionale a dare esecuzione al precetto statutario (e quindi costituzionale) in base al quale ai direttori regionali spettava un trattamento giuridico ed economico non inferiore a quello dei direttori generali dei ministeri statali.

Oggi però il diritto, la certezza del diritto, di fronte all’arena assetata di sangue e alla propria voglia di apparire (sui mass media, che non aspettano altro) giusti ed equi, è diventato uno stato d’animo, tutto è sacrificabile, specialmente coloro i quali hanno meno argomenti contrattuali di un qualunque precario. E il sonno della ragione ha inopinatamente colto persino il Commissario dello Stato.

Era ora! E chi sono i poveri, vi chiederete? Qualche esempio: l’Associazione allevatori, storica, atavica sanguisuga privata che non si capisce perché viva con fondi pubblici; la Pontificia facoltà teologica e lo Studio teologico San Paolo, associazioni, queste, della cui sopravvivenza o della cui scomparsa, a me che, come tanti, sono un ateo praticante, non potrebbe fregare di meno. Non vi viene il sospetto che manovra sia un tantinello pelosa? Chissà se qualche giovane penalista senza inibizioni non potrebbe trovarci addirittura il dolo! Ma tant’è.

Toltagli l’aura romantica, Robin Hood resta quello che è: un ladro in calzamaglia e le differenze tra lui e lo sceriffo di Nottingham, suo acerrimo nemico, scompaiono. Il vero fatto è che entrambi infilano le mani nelle tasche degli altri. E lo fanno in modo maldestro.

Infatti, se riusciamo a penetrare il polverone causato dalla ipercinesi afinalizzata crocettiana, detta anche nullaggine rotatorio-mediatica che tanto affascina i media, possiamo stabilire alcune verità e poco importa se le vestali dell’informazione (che straparlano di morale su quotidiani che nella pagina successiva pubblicano annunci di prostitute) si stracceranno le vesti.

Come nei romanzi d’appendice, facciamo un passo indietro. Si diceva prima che lo Statuto siciliano, che è uguale alla Costituzione, stabilisce che il trattamento economico e giuridico del personale non può essere inferiore a quello degli impiegati dello Stato. Per cambiare questa norma occorre un processo di revisione costituzionale uguale a quello che è in corso nel Parlamento italiano in questi giorni. Qualunque norma violasse questo principio sarebbe dichiarata incostituzionale e sarebbe a dichiarata nulla.

E` già successo. E lo stesso accadrà all’articolo 13 della legge 13 del 2014 che ha ridotto le pensioni d’oro. Altra violazione della Costituzione [art.3 (disparità di trattamento)] è quella relativa alla falcidie effettuata dall’Ars soltanto nei confronti di una categoria, peraltro esigua (55), di pensionati regionali, i quali soli, su una platea di circa 17 mila pensionati devono farsi carico di risanare il bilancio della Regione.

Troppo onore! E che, forse che il bilancio della Regione non è cosa di tutti? Se di una tassa si tratta, perché di questo si tratta, essa deve avere i requisiti di universalità. (Per questo motivo cadde sotto la mannaia della Corte costituzionale il primo contributo di solidarietà e per questo cadrà anche quello in corso!).

La rapina che il Governo e il Legislatore di accingono a compiere nei riguardi del resto dei pensionati regionali non varrà a sanare l’abuso della norma sulle pensioni d’oro. ll Governo Crocetta sarà costretto a presentare un quarta finanziaria di aggiustamento che opererà qualche rammendo provvisorio, togliendo qui e mettendo lì, cercando di tirare a campare e arrivare più lontano possibile, proprio come il barone di Munchausen, che dalla luna arrivò a terra usando un filo, tagliandolo di sopra e attaccandolo di sotto. Tutto questo fino a quando il Commissario dello Stato prenderà il coraggio a due mani e finalmente dichiarerà il Bilancio della Regione falso e irreale.

In tutto questo bailamme rischia di passare in secondo piano una questione di cui tutti i regionali passati, presenti e futuri hanno le tasche piene. Mi riferisco al trattamento economico del personale dell’Ars che in buona o male fede (scelgano i giornalisti) viene attribuito anche ai dipendenti regionali che risultano così cornuti e mazziati.

Nessuna norma – regionale, nazionale, comunitaria, planetaria, o galattica – autorizza l’Ars a disporre di proprio personale. Il personale della Regione è uno e uno solo. Quello previsto nell’articolo 14 dello Statuto regionale. La creazione di un organico speciale all’Ars è un abuso consumato in carica caritatis, così come è arbitrario tutto quello che è stato edificato a Palazzo dei Normanni.

Alla provvista di personale si sarebbe dovuto provvedere con personale dell’Amministrazione regionale reclutato dalla stessa. Ma questo è il meno. Il primo Consiglio di Presidenza di quello che pomposamente si autodefinisce il più antico Parlamento d’Europa (nel quale erano presenti tutte forze politiche, dai postfascisti ai comunisti stalinisti operaisti bolscevichi e proletari), come suo primo atto, lungi dall’affermare e proclamare come sua ragion d’essere i principi etici che presiedevano all’Autonomia, decise all’unanimità di equiparare il trattamento economico dei deputati regionali a quello dei senatori della Repubblica. Lo fecero come ladri nella notte, a porte chiuse, ma lo fecero.

Non c’è che dire, un grande gesto di elevazione morale di fronte ad una Sicilia piagata dalla guerra, dilaniata da sanguinose lotte intestine, povera, rurale, arretrata, analfabeta. Ma, come il pappagallo di una famosa barzelletta, il Consiglio fu generoso (mangia e fai mangiare!). Si legge nella relativa delibera del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea regionale, che ”per ragioni di equità” (equità, notate la sublimazione del senso di colpa, del bisogno di complicità), anche il trattamento economico dei dipendenti del medesimo primo Parlamento d’Europa fu equiparato a quello dei dipendenti del Senato. Niente però che non possa modificarsi in pochi minuti. Basta che almeno un componente dell’attuale Consiglio di Presidenza faccia una semplice divisione a metà.

Ora infuria una battaglia tra chi vuole conservare antichi privilegi (uno a caso: 15 mensilità, e che mensilità!) e chi nobilmente, senza rinunciare ai propri, vorrebbe dare una bella sforbiciata agli stipendi. Magari abbassandone il tetto allo stesso livello degli statali e quindi con un massimo di 241 mila euro annui; e invocando, furbescamente, l’equiparazione.

E perché per la par condicio con i colleghi in servizio nell’Amministrazione non abbassarlo questo tetto a 160 mila euro annui come per il resto del personale regionale? Ci sarà da ridere se entrerà in vigore la riforma del Senato e del relativo trattamento economico dei suoi componenti non elettivi. Per poco, però, il tempo necessario al Consiglio di Presidenza di equipararsi alla Camera.

Cà, tranne gli elettori nisciuno è fesso.

 

 

 


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