Calanchi del Cannizzola, il deserto di Sicilia dal riscatto alle nuove minacce: «La mafia dei pascoli è tornata a invadere il mio agrumeto»

«Sono tornati a invadere il mio agrumeto». Il soggetto non lo mette nemmeno Francesco Capizzi quando ci racconta delle mandrie di mucche che, da metà ottobre, sono tornate a invadere i terreni tra tra Centuripe (nell’Ennese) e Biancavilla (in provincia di Catania) dove coltiva agrumi, ulivi e alleva lumache. Tra i monti Erei e la Valle del Simeto, l’imprenditore – che già in passato ha denunciato diverse intimidazioni da parte della mafia dei pascoli – ha dato vita al progetto dei Calanchi del Cannizzola, trasformando un’area abbandonata e sconosciuta in meta per turisti e artisti. «Eppure, a quanto pare, per fermarli non è bastato nemmeno tutto questo», denuncia l’imprenditore agricolo a MeridioNews ad appena qualche giorno di distanza dal racconto di quanto accaduto al suo collega Nino Scarpicino tra le campagne di Paternò e Santa Maria di Licodia (nel Catanese).

Incendi dolosi, invasioni dei terreni, furti e rottura delle tubature per l’irrigazione. Di intimidazioni, negli anni, Capizzi ne ha ricevute tante e le ha sempre denunciate tutte alle forze dell’ordine. Anche questa volta, «che questi episodi non me li sarei aspettati visto che questo luogo, prima abbandonato, è diventato conosciuto, frequentato e apprezzato. Segno che l’arroganza della mafia dei pascoli non si ferma nemmeno a nulla», denuncia Capizzi che è pure finito al Pronto soccorso dell’ospedale di Biancavilla con un politrauma diagnosticato e un collare attorno al collo. «E poteva andare anche peggio», racconta al nostro giornale. Tutto ri-comincia la mattina di lunedì 14 ottobre quando Capizzi si affaccia sulla vallata dall’alto della panchina gigante installata su un promontorio del cosiddetto deserto di Sicilia. «Stavo facendo un’intervista con giornalisti e operatori di una testata londinese per raccontare i disagi dovuti alla siccità nei nostri territori – ricostruisce – quando mi sono accorto di un gruppo di mucche che pascolavano all’interno dei miei terreni tra gli alberi di agrumi». Una scena che preoccupa l’imprenditore, non solo per i danni che gli animali possono arrecare all’agrumeto ma anche perché lo riporta indietro di anni.

«Ho interrotto subito l’intervista e sono sceso a valle per cacciare le mucche», ricostruisce l’imprenditore agricolo che, mentre vede i bovini distruggere la recensione dei suoi terreni, chiama i carabinieri. «Sono arrivati mentre le mucche erano ancora all’interno della mia proprietà e – sottolinea Capizzi – io sono riuscito anche a prendere il codice alfanumerico identificativo degli animali e a fare foto e video di quanto stava accadendo». Con tutti i documenti necessari in mano, il pomeriggio Capizzi va in caserma a denunciare. «Già in quel momento – ammette – non avevo dubbi che, purtroppo, non si sarebbe trattato di un caso isolato». Una previsione che non tarda a farsi concreta. «Quella sera stessa, ho trovato di nuovo il mio agrumeto invaso dalla un branco di mucche, questa volta ancora più numeroso di quello della mattina».

Nonostante fosse buio, Capizzi scende di nuovo a valle per cacciare le mucche dal suo appezzamento di terreno. Dai video girati dall’imprenditore con il cellulare si vedrebbero addirittura una ventina di bovini tra gli alberi di arance. «Un animale mi ha calciato a sono caduto in un dirupo sbattendo la testa su una grossa pietra», racconta. Sul posto arrivano di nuovo i carabinieri e anche gli operatori sanitari con un’ambulanza del 118 a bordo della quale Capizzi viene portato al Pronto soccorso dell’ospedale di Biancavilla. Lì passerà la notte prima di essere dimesso con una prognosi di dieci giorni per un politrauma contusivo, escoriazioni alla testa, a un braccio e a una spalla e il collare cervicale. «Nonostante questo non mi arrendo – conclude Capizzi – e sto già pensando ai prossimi progetti per i Calanchi del Cannizzola». Il primo sarà la raccolta delle olive per poi spedire l’olio a chi ha adottato uno degli ulivi di Nocellara dell’Etna Igp piantati all’interno del deserto fiorito che è e resta il simbolo del riscatto di quel territorio dalle intimidazioni mafiose.


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