Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano

Come affronterà la spinta separatista catalana il nuovo re di Spagna? Secondo alcuni, proprio sulla spina nel fianco della politica spagnola, Felipe VI  dimostrerà di essere un monarca  più ‘moderno’ nel suo approccio con il diritto di autodeterminazione dei popoli.

E nel suo primo discorso ufficiale, in effetti, non mancano tracce di novità. Non abbastanza per  molti indipendentisti catalani, che hanno maldigerito i riferimenti all’Unità della Nazione. E che comunque sono anche repubblicani.  Esquerra Repubblicana, ad esempio, contattata da Linksicilia, non ha esitato a bocciare in toto il nuovo re, come vi abbiamo detto qui.

Eppure, le novità  portate da Filippo VI  potrebbero parlare di federalismo economico.   Certo non sarebbe l’indipendenza, ma, in fondo, stringendo, ciò che interessa ai catalani è di potere gestire direttamente le proprie risorse, senza l’intermediazione vampira di Madrid. 

Un modello di federalismo fiscale già disegnato per la Sicilia con lo Statuto speciale. E mai applicato veramente.

di Francesco Giordano

 

Il federalismo economico, più che il separatismo, all’orizzonte della Catalogna, si evince dal discorso della Corona del nuovo Re di Spagna Felipe VI “Una Monarquìa renovada para un tiempo nuevo”: questa la linea tracciata dal nuovo Re di Spagna, Don Felipe VI, nel discorso di insediamento della Corona, pronunziato il giorno 19 giugno innanzi alle Còrtes, il Parlamento iberico riunito solennemente per l’occasione.

E’ stato quello che si dice un momento storico per la grande ed importante Nazione d’Europa, rinnovare l’istituzione monarchica nel momento in cui, per le problematiche interne, nella persona del Re Juan Carlos ­che ha regnato per 39 anni­ essa era appannata e scalfita da macchie gravissime per l’etica pubblica della popolazione. Scegliendo di abdicare al momento giusto e lasciando il trono, e la scena al quarantaseienne Felipe, accompagnato dalla ex giornalista Letizia Ortiz, nuova Regina, e dalle belle bimbe Leonor e Sofia, le più giovani eredi al trono di tutte le case regnanti in Europa, Juan Carlos ha in ogni caso reso l’ultimo servigio notevolissimo alla sua Patria e all’idea della Monarchia in senso lato: non che, a parer nostro, sia stata una scelta assoluta (per gli scandali cui si accennava), però considerata la situazione, fu la migliore.

Emozionato, come si conviene a chi ascende al trono anche se da sempre è preparato
a quello che gli scrittori di un tempo definivano “il mestiere di Re”, Felipe lo è e lo fu particolarmente, mentre il bacio finale di Letizia nuova Regina di ceppo borghese, lo sciolse dall’evidente imbarazzo: come la nivea bellezza delle bambine di otto e sette anni, che accompagnarono i genitori, scaturiva mòti di simpatia e sorrisi da parte di tutta la popolazione, che in Spagna e nel mondo ha seguito la diretta tv ed in streaming su internet, del giuramento alla Costituzione e dell’insediamento.

Proprio la “monarchia rinnovata” è stato il segno che il nuovo Re ha voluto dare come inizio del suo mandato da “Rey consitucional”. Ha tenuto a sottolineare la funzione di arbitro essenziale dei poteri dello Stato il nuovo Sovrano, in continuità con il ruolo del padre, che fu equilibrio importantissimo dopo la fine della dittatura del Generalissimo Francisco Franco (egli è morto nel 1975, quarant’anni non sono ancora trascorsi: crediamo che l’ombra lunga e non del tutto fuggevole del franchismo, non sia svanita dalla psicologia collettiva degli spagnoli), specie in momenti essenziali. Felipe è della nuova generazione cresciuta nella democrazia e nel pluralismo: per cui intende rinnovare il modo di interpretare il Regno.

A questo riguardo, per noi fautori del federalismo a cui sono care tutte le cause dell’autodeterminazione dei popoli, come già leggevamo in un precedente intervento, la questione catalana è ad un bivio cruciale. Se Felipe ha precisato che “quiero reafirmar, como Rey, mi fe en la unidad de España, de la que la Corona es símbolo. Unidad que no es uniformidad, Señorías, desde que en 1978 la Constitución reconoció nuestra diversidad como una característica que define nuestra propia identidad, al proclamar su voluntad de proteger a todos los pueblos de España, sus culturas y tradiciones, lenguas e instituciones”,

il passaggio successivo è altamente chiarificatore, a nostro avviso, di quelli che saranno gli sviluppi della Catalogna in senso federale: “Una diversidad que nace de nuestra historia, nos engrandece y nos debe fortalecer. En España han convivido históricamente tradiciones y culturas diversas con las que de continuo se han enriquecido todos sus pueblos. Y esa suma, esa interrelación entre culturas y tradiciones tiene su mejor expresión en el concierto de las lenguas.Junto al castellano, lengua oficial del Estado, las otras lenguas de España forman un patrimonio común que, tal y como establece la Constitución, debe ser objeto de especial respeto y protección; pues las lenguas constituyen las vías naturales de acceso al conocimiento de los pueblos y son a la vez los puentes para el diálogo de todos los españoles. Así lo han considerado y reclamado escritores tan señeros como Antonio Machado, Espriu, Aresti o Castelao”.

In altre parole e leggendo fra le righe, come deve farsi perchè proprio per l’alta sua funzione un Re non può esprimersi direttamente nelle questioni politiche nazionalistiche delle varie parti dello Stato, si nota bene l’intenzione che, conoscendo la personalità di Felipe e sapendolo slegato da visioni passatistiche, potrà attuare, in tempi brevi: concedere, d’autorità da parte della Corona, un nuovo Statuto alla Catalogna, che inglobi la parte che ora è assente nella loro carta autonomista, approvata nel 2006: l’autogestione delle risorse finanziarie locali, poichè essendo la Catalogna la prima delle regioni spagnole a contribuire al bilancio nazionale in termini di PIL, è chiaro che attualmente i tre quarti di esso vengono drenati verso Madrid, mentre solo infimo è il ritorno in beni e servisi, alla comunità catalana.

Ciò, al netto delle (legittime) rivendicazioni nazionaliste ed anche separatiste, è quello che chiede la maggioranza dei catalani, la gestione in casa delle risorse locali. Che, in altri termini, si appella federalismo, in senso onnicomprensivo. La Spagna con Felipe VI diventerà uno Stato moderno quindi federale, unito tuttavia nella figura sovrana? Crediamo che andrà a finire così, anche perchè, data l’autogestione economica alla Catalogna, anche i paesi Baschi la chiederanno ­e l’otterranno­, come la Galizia e le minori comunità autonome montane.

Da non dimenticare che in Spagna tutti i partiti, dal centrista al socialista (se si escludono gli estremisti di sinistra), sono convintamente monarchici: specie, ed è significativo, i socialisti… (situazione che avremmo potuto avere in Italia: sirivedano, per chi intende approfondire, i libri “La Monarchia socialista” del grande giornalista Mario Missiroli, che è del 1913, e ­dato che da noi c’è sempre stata la presenza della Chiesa­ il volume dottissimo “Il papato socialista”, di quel fine intellettuale seppure repubblicano, che fu Giovanni Spadolini, testo del 1950, riedito nel 1969).

In Sicilia conosciamo bene questo percorso poichè, dal 1943 al 1946, ne fùmmo antesignani. Solo dopo la guerra civile tra la maggioranza dei siciliani infatti e i governi nazionali dell’epoca (da Badoglio a Parri a Bonomi a De Gasperi: e citiamo politici comunque di altissima levatura… lasciamo perdere l’oggi!), il movimento indipendentista isolano, guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dagli agrari e nobili (monarchici) Lucio Tasca e Franz e Guglielmo di Carcaci, sebbene avesse una minoritaria componente estremista anarchica facente capo ad Antonio Canepa (non a caso perito in un agguato, che giustamente molti ritengono oscuro, il 17 giugno del 1945, in quel di Randazzo), ottenne dalla Corona di Savoja ciò che fra breve otterrà la Catalogna: lo Statuto Speciale (termine che è intercambiabile con quello di ‘federale’) della Regione Siciliana, che nasce il 15 maggio del 1946 in una Italia monarchica, e che la sovvenuta (e luetica come sempre ripetiamo, nata dall’imbroglio del falso referendum del 2 giugno del medesimo 1946) Repubblica accetterà e inserirà anzi nella Carta Costituzionale nel 1948.

Il quale Statuto prevede l’autogestione delle nostre ricchezze: se tale parte non viene compiutamente attuata, è colpa dei politici regionali e di chi li sostiene, invece di fare l’interesse del popolo siciliano.

Che poi oggi la discussione sulla riforma del titolo V e quindi sul ruolo delle Regioni a Statuto Speciale, e la Sicilia ha l’unicità di questo ed è la più “speciale” di tutte, possa limitarne le funzioni, è altra questione di cui non mancheremo di occuparci.

In Catalogna a novembre si terrà il referendum, contro la volontà del governo nazionale madrileno, per scegliere l’indipendenza o meno dalla Spagna. Si sa già che tale votazione non ha corso legale per la Costituzione spagnola, ma i catalani in gran maggioranza intendono svolgerla.

Pare che il nuovo Re ­il quale nel ringraziare alla fine del discorso della Corona, si è espresso nelle quattro lingue nazionali, castellano, catalano, basco e galiziano: vi immaginate un Presidente della Repubblica italiana che nel discorso di fine anno, si esprime nei saluti in italiano, siciliano, sardo, napoletano, romanesco, veneto e lombardo?

Questo può solo un Re…­ abbia in programma il primo viaggio ufficiale proprio a Barcellona, la bellissima e cosmopolita capitale catalana, dalla storia di grande libertà intellettuale e politica.

Se scorgiamo avvedutamente le mòsse del nuovo Sovrano ­che ha certamente presente la Storia passata ma anche quella futura: tanto per rimanere in tema, qualora la Scozia che anche deve esprimersi per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, scegliesse di essere nazione autonoma, conserverebbe sempre la Regina come comune Capo dello Stato, quindi…­ egli agirà con determinazione ma anche con accorto rispetto della volontà popolare, evitando le trappole dell’estremismo come di intaccare il prestigio della Corona.

Ed è in fondo ciò che un Sovrano deve fare, se è veramente tale: integrare i popoli diversi e farne come la punta del triangolo, scintillare l’unità nella differenziazione di ciascuno, perchè tutti sono cari agli occhi del Divino, ma ogni essere vivente ha la propria unicità.

La sfida di Felipe è anche quella della Citta del Sole: però, portando egli il nome di Re a noi siciliani molto cari (sotto Filippo II l’isola, ove circolava la moneta Grano, ebbe prosperità economica e libertà nei commerci, come importante fu la sua classe di uomini colti, non raggiunta dipoi che nel XVIII secolo), crediamo che possa essere un monarca degno della tradizione.

Francesco Giordano

Spagna, Esquerra Repubblicana: “Felipe VI? Nulla di nuovo per la questione catalana”


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