L’analisi impietosa della Banca d’Italia: l’economia siciliana cola a picco

IL PIL VA GIU’ PER IL SESTO ANNO CONSECUTIVO. I CONSUMI DELLE FAMIGLIE SICILIANE SONO IN PICCHIATA (O SI PAGANO LE TASSE O SI VA PER I NEGOZI). LA DISOCCUPAZIONE IMPAZZA. SEMPRE PIU’ GIOVANI SENZA LAVORO. E I FONDI EUROPEI UTILIZZATI NELLO STESSO PERIODO? L’INGHIPPO – CHE COINVOLGE ROMA E BRUXELLES – STA NELLE CERTIFICAZIONI DELLA SPESA…

La Banca d’Italia certifica il ‘successo’ del Governo di Rosario Crocetta. Il Pil, sigla che sta per prodotto interno lordo, va giù per il sesto anno consecutivo: meno 2,5 per cento.

”Il dato fornito dall’Istat pochi giorni fa – ha spiegato Giuseppe Ciaccio, capo divisione Analisi e ricerca economica della sede di Palermo della Banca d’Italia – descrive una perdita del Pil del 4 per cento al Sud. E’ possibile, quindi, che la stima di Prometeia debba essere rivista al ribasso”.

Tutto questo proprio negli anni della Programmazione 2007-2013. Con i fondi europei che solo in parte – e precisamente per la parte che riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) – non sono stati spesi.

Insomma, la situazione potrebbe essere addirittura peggiore. L’economia, in Sicilia, cola a picco. In realtà, diciamo che c’eravamo accorti, dagli esercizi commerciali in crisi, dai negozi vuoti e dalle imprese che chiudono.

La crisi colpisce tutti i settori dell’economia dell’Isola. Con in testa l’attività edilizia, praticamente bloccata. Per l’ottavo anno consecutivo il settore delle costruzioni va giù. Con una riduzione del valore aggiunto dell’8,7 per cento, e una contrazione che, dal 2006 ad oggi, supera il 40 per cento.

La disoccupazione, sempre con riferimento al settore edile, è aumentata del 9,6 per cento, mentre le ore denunciate alle casse edili si sono ridotte del 18,3 per cento.

La presenza dei fondi europei utilizzati in parte in Sicilia si avverte nel settore delle opere pubbliche. Secondo i dati del Cresme, infatti, il valore complessivo delle gare bandite è aumentato del 31,2 per cento rispetto al 2012. E questo nonostante il numero di bandi pubblicati si sia ridotto del 19,7 per cento.

Male anche quello che resta dell’industria siciliana. Secondo le stime Prometeia, il valore aggiunto si è ridotto del 6,4 per cento in termini reali, dopo il calo complessivo del 24,5 per cento registrato tra il 2007 e il 2012.

Un mezzo disastro il commercio, in sofferenza a causa del calo della domanda al consumo che è la diretta risultante della riduzione del reddito disponibile per le famiglie siciliane. A furia di pagare tasse allo Stato, alla Regione e ai Comuni, i siciliani ormai sono costretti a tirare la cinghia su tutto.

Le famiglie siciliane acquistano meno beni durevoli (-9,8 per cento): un ‘record’ negativo, visto che è un dato doppio rispetto alla media nazionale e il maggiore tra le regioni del nostro Paese. E la situazione è destinata a peggiorare, perché le famiglie siciliane, in prospettiva, dovranno pagare le ‘rate’ dei mutui contratti dalla Regione un mese fa (un mutuo da oltre 300 milioni di euro e un secondo mutuo da 950 milioni di euro).

Per non parlare dell’indebitamento dei Comuni siciliani con gli Ato rifiuti e con gli Ato idrici. Valga l’esempio del Comune di Bagheria dove le tasse comunali – a causa dei disastri del Bilancio – sono le più alte d’Italia!

I siciliani acquistano sempre meno automobili, mentre, nonostante la crisi, sono aumentati del 4,4 per cento (più della media del Paese) le vendite di prodotti dell’informatica, come pc e tablet.

Discorso a parte per l’export siciliano. Che registra una contrazione del 14,8 per cento nel 2013, dopo un anno di espansione (21,5 per cento nel 2012).

La Sicilia, è noto, raffina oltre il 50 per cento del petrolio italiano. Di conseguenza le esportazioni dell’Isola vengono sempre falsate dalla dinamica del settore petrolifero, che rappresenta oltre i due terzi del flusso di vendite all’estero.

Quando le esortazioni di benzine e, in generale, di prodotti petroliferi va giù – cosa che si sta verificando – il valore delle esportazioni siciliane cala.

Ma questo è un fatto che a noi siciliani interessa poco, perché di questo settore – a parte la manodopera tutto sommato minima – abbiamo solo problemi (inquinamento) e non i benefici (chi raffina petrolio in Sicilia paga le imposte in altre Regioni del nostro Paese).

Insomma, a noi della contrazione dell’export di petrolio non ce ne può fregare di meno. Anzi, prima questi petrolieri si vanno a fare benedire con tutte le loro raffinerie, prima libereranno la Sicilia dalla loro presenza e, soprattutto, dalle loro scorie.  

Tolti i malsani e inquinanti prodotti petroliferi, il valore delle esportazioni siciliane è aumentato del 6,8 per cento, un incremento maggiore rispetto a quello registrato a livello nazionale. Anche se andrebbe esaminato su quale quantità di prodotti esportati viene fatto questo calcolo. 

Le imprese che esportano di più sono quelle dell’elettronica (+12,9 per cento) e della chimica (+7,5 per cento).

Il dato sull’agricoltura – che viene dato come positivo – andrebbe esaminato meglio. Si registra, infatti, un andamento delle vendite dei prodotti dell’agricoltura siciliana (+7,1%), ma a questo non sembra accompagnarsi un miglioramento delle condizioni economiche degli agricoltori siciliani, che invece peggiorano.

I prodotti siciliani si collocano, per lo più, nell’area euro. Anche se peggiorano le esportazioni verso Germania e Spagna. Mentre cresce l’export verso i Paesi asiatici ed africani.

Sul fronte del lavoro i dati siciliani somigliano tanto a un ‘bollettino di guerra’. La nostra Isola perde oltre 73 mila posti di lavoro in fumo in un solo anno. Un ‘successo’, come abbiamo sottolineato all’inizio, per il Governo regionale e per i fondi europei che, invece di risollevare il reddito dei siciliani fa aumentare la disoccupazione!

In Sicilia, dati alla mano, la disoccupazione cresce ad un ritmo doppio rispetto a quella registrata nel resto d’Italia. Dal 2008 ad oggi – ovvero da quando è partita la Programmazione dei fondi europei 2007-2013 – la nostra Isola ha perso 160 mila posti di lavoro e tutta l’economia siciliana è andata indietro. 

Su questo punto è bene tornare a fare chiarezza. Ribadendo quello che abbiamo scritto qualche giorno fa. In Sicilia, bene o male, sono arrivati 10 miliardi di euro tra fondi europei – Fesr, Fse e Psr – (in questa cifra non abbiamo considerato 2 miliardi di Fesr che non sono stati spesi) e Fas. Buona parte di questi fondi, al di là si un’informazione spesso carente, sono stati certificati come risorse impiegate in Sicilia.

Ora se anche la metà di queste risorse fossero state impiegate nella nostra Isola non potremmo avere risultati economici così disastrosi. La spiegazione logica non può essere che una: e cioè che è stata certificata per la Sicilia una spesa di fondi europei che non riguarda la Sicilia!

Questo è il vero inghippo della gestione dei fondi europei in Sicilia e, in generale, nelle Regioni ad Obiettivo convergenza. Siccome c’è il cofinanziamento dello Stato al 40 per cento, trattandosi del Sud lo Stato italiano non ha molta voglia di cofinanziare questa spesa. Da qui i probabili ‘giochi’ sulle certificazioni della spesa comunitaria che non esentano di responsabilità Bruxelles.       

Tornando alla disoccupazione, il calo più consistente si registra nell’edilizia (-9,6 per cento), seguita dai servizi (-4,5 per cento) e dall’industria (-2,9 per cento).

Perdono il lavoro gli uomini (-4,7 per cento) e le donne (-6,3 per cento). La contrazione riguarda soprattutto i giovani e le persone con un basso livello di istruzione.

Colpisce il dato che riguarda i giovani siciliani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, per i quali il tasso di disoccupazione si attesta al 38,3 per cento, oltre 15 punti percentuali sopra la media nazionale (23 per cento).

Tremendo il dato sui cosiddetti Neet, cioè i giovani siciliani che non lavorano, non studiano e non seguono un percorso di formazione: 42,7 per cento, a fronte di un dato nazionale pari al 27,3 per cento.


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