‘Giorni rubati’, la vita e i sogni perduti all’ombra del conflitto

Zlata Filipovic aveva undici anni quando la guerra le sfondò il tetto della
casa, la sua casa era a Sarajevo. Tutta la sua vita diventò qualcosa di
terribile e nuovo per parecchio tempo: quella cosa normale che si chiama guerra. La normalità delle bombe, dei suoni di notte, dei missili lontani,della fame che prima o poi arriva, dell’esercito nelle strade, della paura dappertutto. Il suo diario allora commosse il mondo intero, e diventò il simbolo dell’assedio di Sarajevo, così come quello di Anne Frank era diventato il simbolo dell’Olocausto.

Sono passati quindici anni da allora, ma sembra ieri. Oggi Zlata vive in Inghilterra, dove ha studiato, e si occupa di giovani e conflitti per le
Nazioni Unite e l’Unicef. Ha scritto un libro, insieme ad un’altra giovane
attivista per i diritti dei ragazzi, l’anglista Melanie Challenger: il loro
libro si chiama ‘Giorni Rubati’ (Cairo editore, 16 euro) e raccoglie i diari
di guerra dei bambini e dei ragazzi da tutto il mondo.
Diari inediti o dimenticati, diari scritti per dire: “io sono vivo e qui c’è
la guerra”.

Sono diari scritti con stupore, candore, e poi via via, con paura, angoscia. Sono i diari che tanti bambini e adolescenti conservavano sotto il materasso, rubando la carta e l’inchiostro, e che oggi arrivano tutti insieme, in questo libro, come un bastimento di emozioni. Questi ragazzi oggi non ci sono più, ma la guerra invece si. “Ricorderò il giorno in cui sono stato sfollato per il resto della mia vita” scrive il piccolo Stanley Hayami, adolescente nippo-americano nato nel 1925 e internato nel campo di Heart Mountain durante la seconda guerra mondiale. Sheila Allan, figlia di padre australiano e madre malese, scrive il suo diario nel 1942, quando il regime nazionalista giapponese occupa la Malesia.

Sheila aveva diciassette anni, e scrive: “credo di essere diventata vecchia, molto vecchia e spaventata in quel breve momento…”. Nella raccolta ci sono i diari anche dei ragazzi che la guerra la facevano, si parte soldati a 17 anni certe volte: è il caso di Ed Blanco, nato a NY nel ’48, in una famiglia portoricana, e partito volontario per il Vietnam nel 67: “sarà una roba molto grossa” scrive nel suo diario. Ci furono 60.000 morti e 100.000 mutilati.

Curiosamente in questi giorni esce un altro diario di una ragazzina, anche lei diventata molto famosa grazie ad una guerra e ad un diario, scritto però sulla rete. Del blog di questa ragazza irachena, che per ovvie ragioni ha scelto di restare anonima, si è parlato molto: Riverbend (che vuol dire ansa del fiume) è lo pseudonimo di questa ventenne e il nome del suo blog (riverbendblog.blogspot. com/), dove giorno per giorno ha annotato tutto quel che accadeva intorno a lei: i bombardamenti, l’ingresso a Baghdad delle truppe americane, la caduta di Saddam, le reazioni dei suoi vicini di casa, degli adulti, dei genitori, i tre anni di assedio, i sequestri di persona, la paura degli uomini e soprattutto delle donne, la scomparsa del futuro.

Il blog Riverbend è stato subito un successo internazionale, consultato e citato dai giornalisti di tutto il mondo (il libro che lo raccoglie esce in
libreria il 28 novembre, editore Baldini e Castoldi).

Articolo apparso su Repubblica.it il 19 novembre 2006 con il titolo “Sarajevo, memorie dall’inferno. Il diario della giovane Zlata”.


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