In occasione delle Palestriadi, manifestazione regionale sportiva per disabili, abbiamo intervistato l'ex direttore della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò, che in prima persona si è occupato di disagi sociali
Palestriadi Life, gran finale ad Agrigento
Circa un mese fa vi avevamo raccontato della tappa catanese delle Palestriadi, manifestazione regionale sportiva per disabili. Ad aggiudicarsi la vittoria era stata in quel caso l’Aias di Acireale, che ha rappresentato la provincia di Catania nelle finali regionali di giovedì 16 e venerdì 17 Novembre ad Agrigento. In un Palasport ‘Pippo Nicosia’ colmo di gente, oltre alla rappresentativa acese, hanno preso parte alla manifestazione l’Aias Agrigento, l’Arca Cammarata, ‘Insieme si può’ di Ribera, Anffas di Agira, ‘Casa Famiglia’ Rosetta di Caltanissetta, Fondazione ‘Auxlium’ di Trapani, Anffas di Ragusa, A.Fa.Di.Psi di Siracusa.
La vittoria è andata all’associazione riberese ‘Insieme si può’ al termine di una competizione all’insegna di un agonismo acceso ma estremamente corretto.
Lo slogan delle Palestriadi Life recita “Insieme per gioco, insieme per amore”, parole che ben rappresentano lo spirito di una manifestazione che ha costituito un gran momento di crescita per tutti quelli che vi hanno in qualche modo partecipato. Protagonisti o semplici osservatori.
In occasione della premiazione, avvenuta sabato 18 Novembre nel Palacongressi della citta dei Templi, l’ex direttore della Gazzetta dello Sport, nonchè catanese doc, Candido Cannavò, ci ha cortesemente rilasciato un’intervista.
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Dottor Cannavò, lei si è occupato tantissimo di sociale. Ha scritto un libro in cui racconta splendide storie che riguardano ragazzi disabili ( “E li chiamano disabili. Storie di vite difficili, coraggiose, stupende”). Crede che lo sport ed in genere la cultura italiana faccia abbastanza per loro?
Credo che si faccia tanto ma non è mai abbastanza. Sicuramente rispetto a venti o trent’ anni fa le cose sono migliorate parecchio. Prima le persone si vergognavano. I parenti delle persone disabili non le facevano uscire di casa. Oggi, per fortuna, non è più così. Anche la società li accetta serenamente. Certo gli imbecilli ci sono ancora, ma quelli ci saranno sempre. Adesso le cose sono migliorate di molto ma si può sempre fare di più.
Lei ha frequentato per lunghi mesi San Vittore per parlare con i detenuti, scrivendo per altro un libro, (“Libertà dietro le sbarre”) quindi ha conosciuto da vicino il mondo al di dentro del carcere. Cosa pensa dell’ indulto, in considerazione delle poche speranze di reinserimento sociale di chi ne ha beneficiato?
L’ indulto fatto in questo modo non ha nessuna utilità. Il problema non è fare uscire le persone, ma stabilire solamente chi deve stare dentro e farglielo rimanere. Se consideriamo che i due terzi delle persone che sono dentro non dovrebbero starci. In questo momento si parla tanto della decisione di raddoppiare la quantità di cannabis consentita. Voi credete che per una persona che ha problemi di dipendenza dalla droga il carcere sia il posto giusto per il suo recupero?
Ha scritto anche un’ altro libro in cui racconta 50 anni di storia italiana attraverso personaggi e avvenimenti sportivi (“Una vita in rosa. Cinquant’ anni di personagggi, avvenimenti, incontri, storie”). Parte addirittura dalla Seconda Guerra. Ci può fare un ritratto della Catania in cui viveva?
Era una Catania spettrale. C’era la guerra, miseria e fame. Si scendeva per strada in cerca di arance, l’ unica cosa che non mancava. Alla fine riesci anche ad abituarti alla situazione, ma era una Catania triste, in cui si soffriva tanto.
Capitolo Sicilia. Dove crede che possano arrivare le squadre siciliane che così bene stanno figurando nella Serie A di quest’anno?
Il Palermo può arrivare dove vuole. Se non si montano la testa possono arrivare davvero dove vogliono. Il Catania ha costruito una bella realtà. Davvero una bella realtà. Adesso si tratta di dare continuità a questo progetto.
Cosa prova invece quando dall’estero rimbalzano articoli folkloristici sulla Sicilia? Hanno sempre un’immagine stereotipata della nostra terra.
Beh, stupidate se ne leggono da tutte le parti. Non bisogna dare tanto peso a queste cose. Certo è che alcuni stereotipi vengono alimentati. Uno straniero che legge oggi della situazione napoletana, cosa può pensare. Se a noi italiani capita di leggere per esempio sulla Colombia, dieci morti ammazzati in una settimana. Cosa ci viene da pensare. Poi i colombiani sono le persone più brave di questo mondo, ma
l’immagine che ne viene fuori non è certo positiva. Bisogna non dare molto peso a certi titoli ma cercare di non alimentare certi stereotipi.