«Abortire in Sicilia è diventato praticamente impossibile». È per questo che in occasione della Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, le attiviste del movimento Non una di meno di Catania hanno deciso di manifestare davanti alla sede dell’Asp 3 di Catania. Davanti ai locali dell’azienda sanitaria provinciale di via Santa Maria la Grande, le […]
«Abortire in Sicilia è diventato impossibile». La denuncia delle attiviste di Non una di meno
«Abortire in Sicilia è diventato praticamente impossibile». È per questo che in occasione della Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, le attiviste del movimento Non una di meno di Catania hanno deciso di manifestare davanti alla sede dell’Asp 3 di Catania. Davanti ai locali dell’azienda sanitaria provinciale di via Santa Maria la Grande, le attiviste hanno chiesto un incontro con i direttori degli ospedali cittadini. «Abbiamo già inviato una pec per chiedere loro alcune spiegazioni in merito alla gestione e al funzionamento dei consultori – spiega Benedetta Tringali – Vogliamo informazioni precise sull’organico, sugli orari di apertura e sui numeri di telefono attivi». Una risposta al movimento Non una di meno, però, non è ancora arrivata.
«La questione è che, ancora una volta si decide di scegliere sui corpi delle donne anche contro la nostra volontà», ribadiscono le attiviste che denunciano anche il fatto che «dieci consultori su dieci a Catania non somministrano la RU486 (la pillola dell’aborto farmacologico, ndr) che viene somministrata in un solo ospedale di tutta la provincia etnea, quello di Acireale. Negli altri nosocomi, invece – continuano da Non una di meno – viene praticato soltanto l’aborto chirurgico. Ogni ostacolo all’aborto continua a essere una forma di violenza – affermano – La salute delle donne dovrebbe essere un diritto garantito e, invece, non lo è».
Salute intesa nel senso più ampio del termine. Le attiviste di Non una di meno, infatti, chiedono anche che i consultori cittadini tornino a essere luoghi dove fare pure «un lavoro di educazione sessuale, di consapevolezza della contraccezione, dell’affettività e del consenso. Attività – sottolineano – che dovrebbero essere rivolte soprattutto ma non esclusivamente alla fascia più giovane della popolazione e di cui dovrebbe occuparsi personale specializzato. Anche questo – concludono – è un modo concreto per contrastare la violenza di genere».