Grande successo a Masterpiece per Maria Palazzo. «La diversità salverà il mondo»

INTERVISTA A MARIA PALAZZO DOPO LA SUA PARTECIPAZIONE A MASTERPIECE

di Gianfranco Scavuzzo

Una laurea magistrale in Filosofia. La passione, coltivata fin da ragazza, per la recitazione.
Molti lavori, tutti precari, dei più disparati: dalla commessa di boutique all’operatrice sociale presso una comunità appartamento per giovani immigrati.

Sarebbe riduttivo racchiudere in poche righe la biografia di Maria Palazzo, trentenne palermitana, emblema di quella generazione X, di giovani laureati che non riescono ad accedere ad un mercato del lavoro sempre più inaccessibile, ma che non perdono la speranza di poter determinare il proprio futuro.
Tra un contratto precario e l’altro, Maria scrive. Mette nero su bianco le sue storie, attingendo a piene mani dalle sue variegate esperienze di vita.
Quest’estate, insieme ad altri cinquemila aspiranti bestselleristi, Maria ha tirato fuori dal suo cassetto una copia dattiloscritta della sua opera e l’ha spedita alla redazione di Masterpiece, il primo talent show al mondo dedicato alla scrittura in onda su Rai3, e prodotta in collaborazione con la Freemantle, che avrà l’obiettivo di scovare la nuova stella della narrativa italiana e che si sta imponendo come vero e proprio caso televisivo e letterario della stagione.
Il romanzo di Maria, «Oggi mia madre mi ha fatto uccidere una libellula», ha superato una dopo l’altra tutte le preselezioni, aggiudicandosi un posto tra i ventiquattro semifinalisti.
Ieri sera è andata in onda la puntata che l’ha vista protagonista di gran successo: su Twitter, social network di riferimento per gli appassionati del programma, il suo romanzo, nel breve volgere della presentazione e della lettura di un piccolo estratto, ha colpito dritto al cuore migliaia di internauti e la stessa giuria, commossa e pietrificata dinanzi alla crudezza ed alla verità di quel testo. Nonostante ciò, non è riuscita a qualificarsi alle prove del gioco successive, ma nella seconda parte del programma, prevista a Gennaio, Maria ed i suoi aspiranti lettori sperano in un ripescaggio. Ad ogni modo, una ribalta televisiva così sorprendente, seppur breve, per una scrittrice in erba, può essere considerata già un primo importante traguardo.

Maria, quando hai inviato il tuo dattiloscritto pensavi di arrivare così lontano?


Sinceramente non ho pensato a nulla. Nessuna aspettativa, ma solo l’ancoraggio al mio totale realismo che mi induce a dare valore alle mie creazioni ed ambizioni da un lato e ad essere molto razionale dall’altro: d’altra parte non sono neanche così presuntuosa da pensare che, per una selezione con numerose presenze, potessi essere fra i selezionati. Ma nemmeno così pessimista da non crederci.

Durante la puntata di ieri, poco abbiamo capito dell’argomento e della trama del tuo romanzo «a tinte fosche», in cui si affrontano temi aspri come la violenza e gli abusi sui minori, il degrado delle periferie, la lotta della giovane protagonista per emanciparsi da un mondo brutale che rifiuta. In una ipotetica quarta di copertina, come descriveresti la tua storia?

Il titolo è già metafora di un’ azione che si consuma all’interno del romanzo e ne è anche la conclusione. Questa azione potrebbe sembrare il cuore della storia, in realtà esso parla della consapevolezza che assume la protagonista principale, Cate (Caterina), una ragazza di 14 anni. Consapevolezza di essere totalmente diversa dalle persone che le vivono attorno: sua madre, sua sorella, il suo fidanzato, i suoi migliori amici. Diversa dal quartiere stesso. Cate sa che non vuole rinunciare a questa differenza per nulla al mondo. Pur rimanendo vittima di episodi sui quali non ha alcun potere, sarà l’azione conclusiva, tragica ed estrema insieme, a diventare l’emblema stesso di questa diversità e, paradossalmente, a determinare la sua salvezza.

A cosa ti sei ispirata per questi delicati temi che hanno commosso i giurati ed il pubblico? Quanto c’è delle tue esperienze dirette nel mondo del volontariato?

Mi sono ispirata semplicemente a storie tratte dalla cronaca ed ai racconti della mia amica Myriam, educatrice presso il carcere minorile di Palermo.

Tornando al gioco. Dopo la presentazione del tuo romanzo, sei stata ammessa alla cosiddetta «prova immersiva»: sei stata ospite di un convento di suore di clausura. Com’è stato il confronto con un mondo fuori dal mondo?

Mi sono avvicinata a questa prova, con una buona dose di curiosità ed insieme con molti pregiudizi, i soliti, forse, che si hanno sulle suore di clausura: fuori dal mondo ed inattive. Non rimango totalmente lontana da questa idea, ma di sicuro ho modificato alcuni pregiudizi: non so se è solo la fede a spingere delle persone a chiudersi in preghiera ed in silenzio ma, qualunque sia la motivazione, deve essere comunque molto forte. Credono nella forza della preghiera e questa intercessione, per loro, è già una forma di azione ed intervento. Anche se la penso diversamente non sono nessuno per pensare che un altro non possa crederci veramente.

Nonostante il tuo romanzo abbia colpito molto i tre giudici del programma (Andrea De Carlo, Giancarlo De Cataldo e Taiye Selasi), non sei passata alla fase finale, per non aver superato la prova di scrittura estemporanea.

Si, è così. I giudici hanno fatto riferimento allo stile in cui è scritto il mio romanzo e così si aspettavano un linguaggio più feroce e crudele rimanendo invece delusi dalla sobrietà del «raccontino» scritto in mezz’ora, ma è soltanto un gioco e come tale deve essere preso.

Oltre al gioco, Masterpiece è ormai una trasmissione di cui tutti parlano, sui social, in tv e sui giornali. Ti aspettavi tanta popolarità da questo programma, in un Paese che conta così pochi lettori?

Una popolarità dovuta più alla curiosità per la novità che ai contenuti del programma, ovvero le nostre opere. Ovviamente spero di poter essere smentita: è già stata una piacevole sorpresa sapere che molti scrivono e si spera che gli stessi tengano ai libri più di quanto si possa ambire ad un quarto d’ora di celebrità.

Tantissimi sui social network hanno espresso la volontà di voler comprare e leggere il tuo romanzo, a prescindere dall’esito di questo «gioco serio», come tu stesso l’hai definito. Pensi che Masterpiece possa veramente aiutare a far emergere nuovi talenti letterari che non riescono ad accedere nel mondo dorato della grande editoria?

Non del tutto. Proprio perché è un format legato ai metodi ed ai tempi televisivi è chiaramente caratterizzato da una forte componente di spettacolarizzazione. Con ciò non voglio screditare il programma ed il lavoro serio di chi ci sta dietro. Voglio porre soltanto una riflessione. L’editoria dovrebbe recuperare il suo ruolo: dare valore alle idee e ai veri scrittori e non solo a quelli «commerciabili» e la televisione dovrebbe tornare ad occuparsi di vera informazione e sano e costruttivo intrattenimento. È un dato di fatto che, purtroppo, siamo lontani dai tempi in cui i libri erano tesori da diffondere e la televisione insegnava a scrivere (ed a leggere) agli italiani.

Quali sono i tuoi scrittori preferiti? A quali ti ispiri, quando scrivi?

Quando scrivo non mi ispiro ai miei autori preferiti perché non penso, neppure lontanamente, di avvicinarmi a loro. Amo molto la letteratura americana – penso fra tutti Wallace e DeLillo -, ma non dimentico gli italiani fra i quali il maestro Pavese e poi i più contemporanei Tabucchi e Tondelli e due grandi poetesse come Patrizia Cavalli ed Amelia Rosselli. Non posso fare a meno poi di leggere e rileggere Dostoevskij, Brecht, Saramago ed il mio amato Mariàs. Mi commuovono per la lucidità narrativa, oltre che per un linguaggio innovativo e pungente, sconvolgente nella sua immediatezza e crudezza, la Plath e Böll. Ultima, ma non certo per importanza, la stravagante e visionaria Miranda July.

Tra dieci anni, come si vede Maria? Una scrittrice di successo, un’attrice affermata o…

Mi piace vedermi come mi vedo adesso: felice nella mia condizione di precarietà che, se da un lato, mi fa rinunciare ad alcuni agii, come il poter viaggiare o vivere da sola e non ancora con i miei, ma d’altro canto mi dà la possibilità di non essere ingabbiata in uno status, ma di muovermi ancora fra tutto ciò che amo: scrivere (e leggere), fare teatro, insieme ad altri mille lavoretti che mi consentono di sopravvivere e mi regalano una serie di esperienze ed emozioni che mi rendono una persona viva.

Gianfranco Scavuzzo


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