Sbaraccare i fondi europei e tornare all’intervento dello Stato

Tra i tanti dati scovati dal nostro Alessandro Mauceri, che da due settimane sta compiendo un ‘viaggio’ tra i meandri dell’Unione Europea, ce n’è uno che ci deve far riflettere: anche se le Regioni ad Obiettivo Convergenza del nostro Paese (ovvero Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata, Regioni ad economia debole, che quindi dovrebbero ‘convergere’ verso le Regioni europee economicamente forti) dovessero spendere, ogni anno, tutti i fondi strutturali messi a disposizione da Bruxelles, il bilancio dell’Italia sarebbe in ogni caso negativo.

In altre parole, l’Unione Europea costa all’Italia un sacco di soldi (per essere più precisi, costa ai contribuenti italiani un sacco di soldi) per avere in cambio solo problemi enormi (la sola politica monetaria demenziale attuata della Bce in questi ultimi anni dovrebbe consigliera qualunque persona di buon senso che ‘mastica’ un po’ di economia ad uscire subito dall’Eurozona).

Oggi, però, non vogliamo affrontare il tema dell’Eurozona. Questo compito lo affidiamo ai nostri collaboratori che di economia ne ‘masticano’ più di noi, dal già citato Alessandro Mauceri a Gabriele Bonafede e a Roberto Salerno. Noi, oggi, in questa sede, vogliamo affrontare un tema particolare: i fondi europei. Lanciando una proposta: l’abolizione degli stessi fondi europei.

In questo articolo proveremo a dimostrare che, dal 2001 ad oggi, i fondi europei, per gli effetti che hanno sortito, hanno provocato, in Sicilia, più danni che benefici.

Il nostro ragionamento deve partire, lo ripetiamo, dal dato che il nostro Mauceri ha dimostrato, numeri alla mano: il costo eccessivo dell’Unione Europea.

L’Unione Europea esiste perché, ogni anno, i Paesi che ne fanno parte tirano fuori i soldi – tanto a testa – per le spese di gestione. Poi, al netto dei costi della ‘macchina’ (Commissione Europea, Parlamento Europeo, le burocrazie di Bruxelles e Strasburgo e tutte le altre varie articolazioni), l’Unione divide i soldi tra i Paesi che ne fanno parte. Privilegiando, sulla carta, chi è in difficoltà rispetto a chi se la passa meglio.

Il nostro Mauceri, conti alla mano, ha dimostrato che i costi di gestione dell’Unione Europea, negli ultimi anni, sono cresciuti a dismisura. Basti pensare che solo per pagare le pensioni d’oro dei burocrati di Bruxelles, ogni anno, vola via un miliardo e mezzo di euro! Tutto questo mentre in Italia si tagliano le pensioni!

Ai cittadini italiani vengono tenuti nascosti i veri ‘numeri’ dell’Unione Europea. Pensate cosa direbbero i pescatori di Mazara del Vallo se venissero a sapere che i burocrati di Bruxelles – quelli che in questi anni li hanno riempiti di divieti – si mettono in tasca 8-10 mila euro al mese cadauno con i soldi delle loro tasse! Probabilmente scenderebbero in piazza con i forconi chiedendo subito l’uscita dall’Unione Europea!

Dunque, ogni anno l’Italia contribuisce con una parte delle tasse pagate dai cittadini italiani a tenere in piedi l’Unione Europea. La stessa Unione Europea, con i fondi strutturali, dovrebbe far crescere le Regioni italiane ad economia debole: le già citate Sicilia, Campania, Calabria e Basilicata.

Maceri, come già ricordato, ha dimostrato che, nel dare-avere tra Unione Europea e Italia, il nostro Paese ci rimette già un sacco di soldi. E ci rimetterebbe già un sacco di soldi anche nel caso in cui le quattro Regioni italiana ad Obiettivo convergenza riuscissero a spendere i cosiddetti fondi europei. Cosa che non si verifica, perché, dal 2007 ad oggi, le quattro Regioni del Sud del nostro Paese hanno speso appena il 20 per cento delle somme stanziate!

Dunque, i cosiddetti “fondi europei” non sono altro che soldi che gli italiani hanno pagato con le proprie tasse: quindi non sono fondi europei, ma soldi degli italiani gestiti dalle burocrazie di Bruxelles, che non sono migliori, anzi, per certi versi, sono uguali, se non peggiori, alle burocrazie romane e alle burocrazie della Regione siciliana.

Vediamo, adesso, quali sono stati e sono gli effetti perversi dei “fondi europei”.

I “fondi europei” per definizione, dovrebbero garantire la cosiddetta “addizionalità” rispetto ai fondi ordinari dello Stato. Con riferimento al Sud del nostro Paese, dovrebbero sommarsi all’intervento ordinario dello Stato. Peccato che lo Stato italiano, dal 2001 ad oggi – e questo lo si può leggere dal bilanci consuntivi del nostro Paese, o dalle relazioni dello Svimez – ha tagliato gli interventi ordinari alle Regioni ad Obiettivo Convergenza. Facendo venire meno il principio di “addizionalità” voluto, sulla carta, dall’Unione Europea.

Bruxelles, a parole, ha contestato il comportamento del Governo nazionale del nostro Paese. Ma lo ha fatto solo a parole.

Proviamo, adesso, a vedere quali sono stati gli effetti dei fondi europei in Sicilia. Dal 2001 al 2006 (sarebbe più corretto scrivere al 2008, perché la rendicontazione di Agenda 2000 si è chiusa proprio nel 2008), la Sicilia ha speso tutti i fondi europei.

Non sono mancate le polemiche. Si è detto che queste somme sono state impiegate non per grandi opere infrastrutturali, ma per interventi di piccola e media caratura. Tutto vero. Però nessuno dice che tutto questo è avvenuto perché lo Stato, dal 2001 al 2008, ha bloccato l’erogazione dei fondi ordinari verso le Regioni del Sud – Sicilia in testa – che hanno usufruito dei fondi europei. Cosicché, i fondi europei 2000-2006, invece di ‘addizionarsi’ all’intervento ordinario dello Stato, si sono sostituiti allo stesso intervento ordinario dello Stato. Di fatto, il divario economico tra la Sicilia e il resto d’Italia è rimasto immutato.

Bruxelles si è accorta della truffa operata dallo Stato italiano ai danni delle Regioni italiane ad Obiettivo Convergenza. Tant’è vero che, nel 2006, quando è iniziata la Programmazione dei fondi europei 2007-2013, ha preteso l’intervento dello Stato (da qui la creazione dei Fas, Fondi per le aree sottoutilizzate) e ha preteso – giustamente – che l’utilizzazione dei fondi europei e dei Fas venisse gestita con un’unica programmazione. Questa seconda richiesta è stata motivata, a parole, dal fatto che è giusto programmare e spendere le risorse europee e nazionali in insieme,

In pratica, Bruxelles, dopo quanto successo dal 2000 al 2006, ha provato – come vedremo senza riuscirci – a costringere il Governo nazionale a intervenire in favore del Sud del nostro Paese (con i Fas). Per fare in modo che i fondi europei svolgessero la corretta funzione di ‘addizionalità’.

A questo punto i nostri lettori dovrebbero ricordare cosa è avvenuto con i Fas quando Berlusconi, nel 2008, è tornato al Governo. E’ successo che i Fas, con Giulio Tremonti Ministro dell’Economia, invece di essere utilizzati per il Sud, sono stati, nell’80 per cento dei casi, utilizzati nel Centro Nord Italia. E quel 20 per cento che è stato dirottatola Sud è stato utilizzato non per le infrastrutture, ma per pagare i debiti delle sanità e i forestali.

Oggi la situazione è peggiorata. Perché se tra il 2001 e il 2008 la Sicilia – grazie soprattutto al dirigente generale della Programmazione dell’epoca, Gabriella Palocci – la Sicilia è riuscita a spendere tutti i fondi europei – dal 2007 ad oggi la nostra Regione ha utilizzato forse il 20 per cento (e forse meno) delle risorse europee disponibili.

Già, come abbiamo cercato di raccontare, questi benedetti “fondi europei” sono soldi italiani. Risorse finanziarie prese dalle tasche dei contribuenti italiani, trasferite a Bruxelles e poi dirottate, sulla carta, in Sicilia. Nel caso della Programmazione 2007-2013, l’80 per cento di questi soldi destinato alla Sicilia è ancora a Bruxelles. Questi soldi, in buona parte, resteranno a Bruxelles. O forse verranno utilizzati da altre Regioni europee economicamente deboli, ma molto più veloci a spendere i soldi rispetto alla Sicilia.

In tutto questo, dal 2007 ad oggi, lo Stato italiano, di fatto, ha eliminato gli interventi ordinari in Sicilia. E ha trasferito alla nostra Regione solo una minima parte dei Fas. Una tripla fregatura.

A questo punto, una domanda: a che serve tutto questo ‘ambaradan’ dei fondi europei? Solo a incasinare la vita dei siciliani che, di fatto, si vedono privati dell’intervento ordinario dello Stato e dei fondi europei.

Prima di iniziare l’ennesima, cervellotica Programmazione dei fondi europei 2014-2020 (pensate: la Sicilia deve ancora utilizzare l’80 per cento dei fondi europei del 2007 e già si fanno riunioni sui fondi 2014-2020 che. di questo passo, la Sicilia vedrà, forse, nel 2030…) sarebbe opportuno fermare il gioco e tornare, per il Sud d’Italia, ad un corretto intervento straordinario.

Se andate a leggere gli interventi programmatori del 2000, del 2001, del 2007 e anche il dibattito di questi giorni, vi accorgerete che questi ‘euroburocrati’, a proposito delle grandi infrastrutture, dicono, in modo confuso, quello che un economista italiano degli anni ‘50 del secolo passato, Pasquale Saraceno, diceva in modo chiaro: e cioè che nel Mezzogiorno d’Italia lo Stato, con risorse aggiuntive rispetto agli interventi ordinari (infatti la dizione era: “Interventi straordinari nel Mezzogiorno”) deve realizzare le grandi infrastrutture, lasciando alle imprese e alle banche il compito far crescere l’economia.

Al Sud del nostro Paese, oggi, serve un sistema bancario radicato nel territorio e serve un piano per le grandi infrastrutture (in questi giorni ci stiamo accorgendo che le strade siciliane cadono a pezzi). Serve un intervento diretto dello Stato e non servono, soprattutto, le cervellotiche prescrizioni di un’Unione Europea che – direttamente e indirettamente – sta creando al Mezzogiorno italiano solo grandi problemi.

Molto meglio l’intervento diretto dello Stato. Ripensando alle tesi di Saraceno. Che ancora oggi sono validissime.


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Tra i tanti dati scovati dal nostro alessandro mauceri, che da due settimane sta compiendo un ‘viaggio’ tra i meandri dell’unione europea, ce n’è uno che ci deve far riflettere: anche se le regioni ad obiettivo convergenza del nostro paese (ovvero sicilia, calabria, campania e basilicata, regioni ad economia debole, che quindi dovrebbero ‘convergere’ verso le regioni europee economicamente forti) dovessero spendere, ogni anno, tutti i fondi strutturali messi a disposizione da bruxelles, il bilancio dell’italia sarebbe in ogni caso negativo.

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