La rinnovata alleanza tra il popolo della libertà e la lega nord rilancia entrambi i partiti, altrimenti destinati ad un sicuro disastro elettorale.
Berlusconi e la destra versione plurale
La rinnovata alleanza tra il Popolo della libertà e la Lega Nord rilancia entrambi i partiti, altrimenti destinati ad un sicuro disastro elettorale.
La Lega Nord punta a governare la Regione Lombardia e rinverdisce la propria mitologia: il 75 % del gettito delle entrate deve restare nel territorio (mentre l’onere del debito pubblico a chi va?); il governo leghista di Veneto, Lombardia e Piemonte renderà possibile una nuova macroregione del Nord, destinata a brillanti prestazioni anche nel contesto dell’Unione Europea, mentre i restanti Italiani si arrangino. La Padania si è un po’ ristretta, ma la sostanza non cambia.
L’alleanza è ancora più importante per il Pdl, restituito al protagonismo berlusconiano. Qui siamo ad un completo cambio di strategia rispetto al passato. Il Popolo della libertà fu concepito come partito unico del centrodestra. Nacque per assorbire ogni altra formazione politica della medesima area: dai repubblicani di Nucara a Dini, da Alleanza nazionale a Giovanardi e Rotondi.
Un sano realismo impone ora la rinunzia all’ambizione di essere il partito di maggioranza relativa (quello più votato). Al momento, primo partito è saldamente il Partito Democratico e c’è poco da fare. La nuova strategia si chiama: “offerta politica plurale”; che è qualcosa di molto di più di un semplice “spacchettamento”.
Il Popolo della libertà cambia, dunque, schema di gioco. La legge elettorale vigente si basa sulle coalizioni elettorali? Allora ciò che conta è allestire una coalizione quanto più ampia possibile. Ciò significa che va concesso il vincolo di coalizione a tutti i soggetti politici potenzialmente capaci di ottenere voti. Purché i voti si prendano, importa relativamente poco chi li raccolga e in base a quali suggestioni. Tanto più che, con riferimento all’elezione del Senato, la medesima legge elettorale vigente fa sì che ogni Regione faccia storia a sé: quindi, in Regioni diverse, è possibile coalizzarsi con partiti che, nella stessa area territoriale, si farebbero la guerra perché portatori di interessi contrapposti. Valga in proposito l’esempio della Lega Nord da un lato e del Grande Sud dall’altro.
La concezione della coalizione plurale consente anche di risolvere una serie di problemi interni. Ci sono dei politici di un certo rilievo che hanno fatto la fronda, perché mal sopportavano l’eccessivo accentramento decisionale? Che magari si sono ostinati a chiedere le elezioni primarie? Invece di risolvere siffatte questioni con i vecchi metodi delle espulsioni, o delle scissioni, basta fare confluire i rompiscatole in un partito nuovo di zecca, ma pur sempre coalizzato. Così i voti non vanno persi, loro si illudono di essere diventati protagonisti ed anche nel Pdl si sta un po’ più tranquilli.
Altro problema è quello delle candidature problematiche, quando un parlamentare dovrebbe andare in pensione per età, eccesso di numero di mandati, profili di inopportunità connessi a disavventure giudiziarie il cui iter non si è ancora definitivamente concluso. Anche in questo caso, invece di procedere a dolorose rinunce, si possono creare le condizioni affinché altre liste coalizzate si facciano carico dei casi difficili.
Ancora non sappiamo da quante liste sarà complessivamente composta la coalizione di centrodestra. Probabilmente non saranno meno di sette, delle quali almeno due specificamente attrezzate per raccogliere consenso nel Mezzogiorno. Ad esempio, i parlamentari, prima qualificati “responsabili”, poi confluiti nel Gruppo di Popolo e Territorio, non possono tutti essere rieletti nelle liste del Pdl; necessitano, quindi, di un diverso veicolo elettorale.
Pensavamo che alcune liste, tipo i “Moderati italiani in rivoluzione” (Mir), fossero poco più che folklore. Invece, basta contare i cartelloni giganti con la foto di Samorì (nella foto a destra, tratta da giornalettismo.com) che si affacciano sulle strade principali di Palermo, per comprendere che anche questa lista sembra in grado di movimentare risorse economiche non da ridere.
Questa coalizione plurale è stata costruita e messa insieme da Silvio Berlusconi che, alla sua rispettabile età, dimostra ancora la tenacia di un combattente. Veramente capace di farsi ora concavo, ora convesso, secondo l’interlocutore, pur di raggiungere l’obiettivo. Rivendica il suo ruolo di capo della coalizione, che ha rilevanza immediata, anche agli effetti della legge elettorale.
Questo è il certo, che ha strappato per sé. Largheggiando però in concessioni quanto all’incerto. Ha, quindi, nuovamente dichiarato di essere pronto a fare un passo indietro, a rinunziare alla carica di Presidente del Consiglio, in caso di vittoria. Così solletica l’ambizione di tutti gli alleati che a quella carica potrebbero ambire. E fornisce loro un alibi psicologico: potranno sempre dire che sono riusciti ad imporre l’esigenza di un nuovo Presidente del Consiglio.
In tal modo tutti, inclusi gli stessi dirigenti del Pdl, possono dare ad intendere di essere impegnati in un progetto politico nuovo, ovviando almeno in parte al fatto che l’immagine del leader carismatico è oggettivamente logorata per i risultati non brillanti della pregressa attività di governo e per l’impietoso trascorrere degli anni.
E’ vero che il repertorio argomentativo di Berlusconi non è stato interamente aggiornato alla nuova strategia elettorale e così oggi suonano stonate le critiche nei confronti dei piccoli partiti. Che sono state concepite contro l’Udc e Fli, ma potrebbero essere male interpretate dagli stessi alleati dello schieramento di centrodestra.
Inutile valutare la variegata coalizione dal punto di vista della razionalità politica. Siamo al trionfo della politica politicante, alla politica ridotta a pura tecnica elettorale. Si ricordino di questo precedente quanti vogliono che la legge elettorale assicuri un robusto premio di maggioranza. La logica della conquista del premio è quella di avere un voto in più dei principali avversari politici, sommando tutto ciò che si può sommare. Non è certamente per questa via che si ottiene stabilità di governo! Meno che mai così si garantisce buon governo.
Eppure sbaglierebbe chi sottovalutasse la resa elettorale di questo schieramento di centrodestra. Fin troppo vitale, fin troppo determinato nella sua volontà di conquistare con ogni mezzo quanti più seggi possibile e di mettere al riparo carriere politiche. Schieramento probabilmente destinato ad essere secondo, come peso parlamentare. Se poi, sovvertendo ogni pronostico, arrivasse primo, davvero povera Italia e poveri noi.