Perché dilaga l’astensionismo

di Lorenzo Ambrosetti

Nelle ultime elezioni politiche regionali in Sicilia si è notato una crescita dell’astensionismo che non ha avuto precedenti nelle elezioni passate. Le rilevazioni dei sondaggi, effettuate da vari istituti demoscopici, danno il partito degli astensionisti a percentuali molto elevate: segno, questo, che i cittadini hanno rotto definitivamente i ponti con i partiti politici, ritenuti ormai incapaci di interpretare i bisogni e le aspettative del Paese.

Il termine astensionismo viene utilizzato essenzialmente per definire la non partecipazione all’atto del voto. Tuttavia, esso può essere esteso a ricomprendere la non partecipazione ad un insieme di attività politiche, per quanto, nelle sue forme più acute, la non partecipazione possa essere definita come apatia, alienazione e così via.

Come molte delle variabili legate alla partecipazione elettorale, l’astensionismo è quantitativamente di facile rilevazione.

Esso viene infatti misurato come la percentuale di coloro che, avendone diritto, non si recano alle urne.

Diverso è il caso di coloro che, recatisi alle urne, lasciano la scheda elettorale in bianco o, deliberatamente, l’annullano in vario modo. Per quanto sia coloro che non si recano alle urne, sia coloro che non esprimono un voto valido intendano manifestare disaffezione o sfiducia, i due fenomeni devono essere analiticamente tenuti distinti.

Gli astensionisti sono, da un punto di vista sociologico, inquadrabili in un gruppo di individui con caratteristiche molto precise: anzitutto, un basso livello di istruzione; in secondo luogo, con una prevalenza di sesso femminile; in terzo luogo, spesso in età avanzata, oppure molto giovane; in quarto luogo, forse il più importante, il non inserimento nella vita socio-economica della comunità.

Affinché l’astensionismo non cresca bisogna che i nuovi elettori abbiano interesse all’attività politica, posseggano buona informazione politica, si ritengano efficaci, in grado cioè di influenzare l’esito della competizione elettorale.

Ora, stante le premesse sino a qui elencate, ciò che accade in questo momento in Italia e che gli elettori non sono più interessati alla vita politica della comunità. Anche se posseggono, o possono avere in linea di massima, una buona informazione politica, i potenziali elettori non credono più che il politico possa risolvere i loro problemi e sperimentano forme che si avvicinano sempre di più all’apatia politica.

Il problema è che la politica, che dovrebbe occuparsi della redistribuzione delle risorse all’interno di un dato gruppo sociale di riferimento – magari aiutando i più deboli e i meno strutturati da un punto di vista economico – oggi, particolarmente con il Governo Monti, favorisce nettamente i gruppi di potere che hanno maggiori risorse economiche.

Il Parlamento nazionale e il Governo Monti si sono guardati bene dal mettere in campo un’imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze immobiliari e sui grandi patrimoni finanziari. Il Governo Monti – questo è sotto gli occhi di tutti – ha preferito indebolire notevolmente la classe media, che oggi sta quasi scomparendo.

Monti ha colpito i grandi consumi, con l’effetto di produrre una recessione che ci ha condotto ai livelli della fine della seconda guerra mondiale. mai l’Italia è stata così povera. Mai le imprese italiane sono state così in difficoltà. Nessuno Governo, nella storia della Repubblica italiana, ha ridotto così male le famiglie.

Le ricette liberiste di Monti, in gran parte imposte dall’Unione Europea, con aumento della tassazione e tagli alla spesa sociale, hanno nettamente favorito i più ricchi, che non vedono affatto scalfita la propria posizione economica e di potere all’interno della società; mentre il conto lo stanno pagando i più poveri che, come risulta anche dalle ultime rilevazioni Istat, aumentano di giorno in giorno.

In questo clima di generale disaffezione politica, non c’è da stupirsi se il partito degli astensionisti cresca ogni giorno di più, e che la politica resti a guardare.


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