Perché i tecnici non devono fare politica

Parliamo di sanità. Brutta faccenda se si vuole indagare la verità dei fatti e non si ha intenzione di osannare l’assessore-pm raccontando ai siciliani che la sua è la migliore riforma della Sanità. Il rischio? Intimadizioni ai giornalisti, indagini su di loro, sul loro lavoro, minacce a chi osa raccontare anche le criticità del sistema, oltre che gli aspetti positivi. Tutto sotto la veste “legale” di esposti o querele come purtroppo capitato alla collega Miriam Di Peri, alla quale va la nostra solidarietà.

Sorte non diversa per gli oppositori politici, accusati di essere nemici “dell’antimafia” che lui rappresenterebbe. Anche se, in realtà, una lancia a favore di Massimo Russo dobbiamo spezzarla. L’assessore, infatti, non è un politico, ma un pubblico ministero.

Non è stato eletto dal popolo sovrano, ma dal sovrano del popolo, designato come “tecnico”, per risolvere i problemi legati all’ambito della sanità.

L’uomo politico, secondo la definizione del dizionario italiano è, in senso figurato, una “persona che parla e agisce con astuzia e diplomazia”. Cosa del tutto naturale laddove si consideri che un politico deve relazionarsi prima di tutto con il popolo elettore, comprenderne le esigenze, convincerlo della bontà delle proprie proposte e assumere un impegno concreto nei suoi confronti. Un politico deve anche sapersi pacificamente e argutamente confrontare con il dissenso, con le opposizioni, con l’opinione pubblica cui deve rispondere del proprio operato.

Un pubblico ministero, no. Questi, sempre per definizione, “esercita l’azione penale vera e propria che condurrà poi al successivo processo, all’interno del quale sarà la controparte dell’imputato. Il pubblico ministero si occupa, infatti, di trovare le prove d’accusa nei confronti di coloro che commettono reati, violando le leggi”.

Quindi non devono stupire i toni assertivi e perentori di chi, per tutta la vita, ha avuto a che fare con potenziali o effettivi delinquenti, come non deve stupire il fatto che un pubblico ministero operi in completa autonomia, non dovendo rendere conto a nessuno, se non al giudice, del suo operato.

Solo ci permettiamo di far notare al dottore Russo che ora si trova a ricoprire la carica di assessore regionale, non quella di pm. Di conseguenza, gli oppositori, o i giornalisti, o, in generale, chi la pensa diversamente da lui non può essere trattato come un potenziale delinquente. E’ la politica, baby. E chi fa politica deve confrontarsi con l’opposizione, rispondere al popolo e tenerne conto in ogni sua scelta.

Questo sembra essere, in effetti, il vero nodo della riforma sanitaria targata Russo. Prima di entrare nel merito, di analizzarne ombre e luci, rileviamo un’evidenza: la riforma, pur muovendo da buone premesse, è calata dall’alto tanto nella sua formulazione quanto nel suo sviluppo e non ha tenuto e non tiene conto dell’utente finale. In altre parole, il grande assente è proprio il beneficiario, cioè il cittadino. Un esempio?

Quella formulata dall’assessore Russo è sì una riforma radicale del sistema sanitario, ma l’assessore, o chi per lui, non si è preoccupato di farlo sapere agli utenti. Senza discutere dei massimi sistemi ci siamo presi la briga di intervistare la gente per strada chiedendogli: “Se si sente male dove va?”. Quasi tutti hanno risposto “Al pronto soccorso”. O ancora: “Sa che cos’è un Pta, Pte, Ppi etc?”. Nessuno, neanche persone di cultura medio alta, sono state in grado di rispondere.

Recandoci negli uffici dell’assessorato, a Palermo, in piazza Ottavio Ziino, abbiamo scoperto che, in occasione di un convegno, era stato stampato un quartino informativo, ma in numero assai limitato per mancanza di fondi. Ci permettiamo di suggerire all’assessore di mettere a frutto, in tal senso, le sue capacità investigative e scoprirà che quello che esiste nella sua mente e nel palazzo non è noto al popolo “sovrano”. Certo ci rendiamo conto che, per far metabolizzare alla gente tanti cambiamenti tutti insieme, è necessario investire molti soldi per la comunicazione e che in tempi di ristrettezze non è possibile.

Ma ecco che emerge un altro nodo al pettine. Il governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo ha dato mandato a un tecnico e non a un politico, l’assessore Russo appunto, con il principale obiettivo di risanare il bilancio della sanità siciliana. E questo doveva fare l’assessore tecnico prima di qualunque altra cosa. Successivamente lui, o chi per lui, avrebbe dovuto reperire ulteriori fondi e fare un piano preventivo di “sostenibilità della riforma”.

Una riforma ambiziosa, infatti, seppure in linea di principio condivisibile, necessita di investimenti, non di tagli. Stravolgere la sanità prima di aver risanato un bilancio in condizioni critiche, o meglio, prima di avere a disposizione nuove risorse da investire, non può che avere conseguenze negative sull’efficienza del sistema e quindi sulle persone.

Un settore di vitale importanza per i cittadini, come la sanità, non può stare con su attaccato il cartello “lavori in corso”: questo, infatti, non è accettabile per chi si ammala oggi. Ma la scure dei tagli si è abbattuta sugli ospedali, sui punti nascita e su tante altre cose, mentre la medicina del territorio – i famosi Pta – stenta a decollare. Comunque, anche se fosse perfettamente efficiente, come detto, l’uomo della strada non lo sa e continua ad intasare i pronto soccorso e ad essere rimpallato di qua e di la perdendo del tempo prezioso. Per questo la gente protesta e i giornali contestano.

Con buona pace di tutti, pm compresi, non è possibile governare un popolo a prescindere dal popolo.

 


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