White list, dopo i casi Ercolano e Basilotta Fava: «A Catania c’è una gestione distratta»

«A Catania c’è una gestione distratta della white list». Il vicepresidente della commissione parlamentare antimafia Claudio Fava (Leg), in conferenza stampa nella sede di Addiopizzo Catania, insieme all’altro componente Davide Mattiello (Pd), continua con il pugno duro nei confronti della Prefettura etnea guidata da Maria Guia Federico, finita sott’accusa dopo l’inserimento delle aziende di Angelo Ercolano e Agatino Basilotta nella white list. La lista, nata nel 2013, è attiva in tutte le prefetture d’Italia e ha come obiettivo quello di ridurre l’iter burocratico per le imprese. L’iscrizione non è obbligatoria ma esonera per 12 mesi le società inserite nell’elenco dalla produzione della documentazione che attesti la mancanza di infiltrazioni mafiose. Alle prefetture spetta il compito di concedere il nullaosta dopo la verifica dei requisiti all’interno della banca dati unica della documentazione antimafia.

Le aziende finite al centro del dibattito sono due. Nel settore del trasporto su gomma c’è quella di Angelo Ercolano, nipote incensurato del defunto boss di Cosa nostra catanese Pippo e cugino dell’ergastolano Aldo. Titolare della Sud trasporti, Ercolano nel 2013 finì sotto indagine con l’accusa di evasione fiscale per un giro di fatture false da cinque milioni di euro. La ditta inoltre subì un sequestro conservativo dopo le verifiche della Procura di Catania e dell’Agenzia dell’entrate. Una misura legata a motivi finanziari, ha spiegato la Prefettura tramite una nota successiva alla recente interrogazione di Claudio Fava, e non a indagini di mafia. Da qui l’inserimento nella lista bianca. «Questo – spiega Fava – significa che non si è capito nulla di questa città dove tutto si è basato sui rapporti familiari. Ecco perchè pretenderemo di avere chiarezza dal ministro dell’Interno».

Decisamente più complessa la vicenda delle aziende legate al nome di Vincenzo Basilotta, imprenditore originario di Castel di Judica, condannato in primo grado per mafia nell’inchiesta Dionisio. Le aziende Incoter e Judica appalti costruzioni (inserita e poi rimossa dalla white list) sono state confiscate rispettivamente per il 66 per cento e per il 30 per cento. In relazione alla percentuale la Incoter è gestita da un amministratore giudiziario, contrariamente alla Judica appalti gestita da Agatino Luigi Basilotta, fratello di Vincenzo, in passato socio con altri familiari della Incoter. L’oggetto del contendere è però legato alla cessione di un ramo d’azienda e allo sfruttamento della cava Dragonia-Ardica di proprietà della Judica appalti e affidata in comodato d’uso alla Incoter. Quest’ultima, come sottolineato dalla Procura di Catania, avrebbe avuto l’ok per cedere un proprio ramo d’azienda alla Judica appalti per lo sfruttamento del sito. I contatti preliminari tuttavia si sono interrotti a causa di un’indagine che ha colpito Agatino Basilotta. L’uomo infatti, secondo gli investigatori «ha utilizzato abusivamente la cava predetta, ha sottratto materiale inerte e lo ha venduto a terzi con danno per la Incoter». I rapporti tra i due fratelli, secondo la prefettura «irrilevanti», dimostrerebbero per Fava «l’eccessivo formalismo delle procedure che hanno portato all’inserimento nella white list, anche perchè riteniamo che il rapporto non si sia bonificato».

Le perplessità dei due componenti della commissione parlamentare si allargano anche al funzionamento dell’agenzia statale dei beni confiscati: «Funziona male – spiega Mattiello – gravata da una profonda inefficienza e senza i componenti del consiglio direttivo». Criticità che spesso ricadono sui lavoratori. «Spesso sono le vittime della confisca – spiega Chiara Barone di Addiopizzo – la vicenda Icoter dimostra che il rischio nella vendita di aziende c’è sempre. I lavoratori troppe volte non sono messi nelle condizioni di poter più lavorare».


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Il vicepresidente della commissione parlamentare antimafia Claudio Fava (Leg), insieme al collega Davide Mattiello (Pd) e al comitato locale di AddioPizzo hanno parlato dei punti deboli della lista che dovrebbe rendere più semplice alle imprese dimostrare la loro estraneità alle infiltrazioni mafiose. E invece, «in questa città tutto si è basato sui rapporti familiari», spiega Fava. Che contesta anche «l'eccessivo formalismo delle procedure»

Il vicepresidente della commissione parlamentare antimafia Claudio Fava (Leg), insieme al collega Davide Mattiello (Pd) e al comitato locale di AddioPizzo hanno parlato dei punti deboli della lista che dovrebbe rendere più semplice alle imprese dimostrare la loro estraneità alle infiltrazioni mafiose. E invece, «in questa città tutto si è basato sui rapporti familiari», spiega Fava. Che contesta anche «l'eccessivo formalismo delle procedure»

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