Uomini della Digos si sono presentati stamattina negli uffici dell'assessorato regionale alla Sanità e nella sede della Presidenza della Regione siciliana. Secondo alcune indiscrezioni, al centro delle indagini vi sarebbero le vicende legate ai direttori in un primo momento nominati a capo delle aziende ospedaliere Cannizzaro e Policlinico
Sanità, si indaga sulle nomine dei manager Dubbi sulle revoche di Pellicanò e Cantaro
Estate caldissima per la sanità siciliana che comincia ad attirare l’attenzione della magistratura. Stamattina, la Digos, si è presentata di buon’ora negli uffici dell’assessorato regionale alla Sanità, in piazza Ottavio Ziino, a Palermo e nella sede della Presidenza della Regione siciliana, in piazza Indipendenza, sempre nel capoluogo siciliano. Le indagini, secondo le prime indiscrezioni, sono rivolte ad un caso che ha già suscitato violenti polemiche politiche: la revoca degli incarichi ad Angelo Pellicanò e Paolo Cantaro. Come si ricorderà, i due manager erano stati nominati direttori generali del Cannizzaro e del Policlinico di Catania, anche se la firma del contratto veniva posticipata di giorno in giorno. Poi il colpo di scena: il 7 agosto scorso la giunta regionale decide di revocare lincarico ad entrambi, perché la nomina sarebbe in contrasto con un nuovo decreto ministeriale entrato in vigore il 25 giugno (numero 90 di questanno), voluto dal governo nazionale di Matteo Renzi, che, tra le altre cose, vieta espressamente il conferimento di incarichi ai dirigenti pensionati. È il caso, appunto, di Cantaro e Pellicanò.
Ma la questione non è mai stata chiara: fa fede la data della nomina o il momento in cui si firma il contratto? Nel primo caso, potrebbero firmare i contratti e le loro nomine sarebbero legittime; nel secondo caso, non potrebbero firmare più i contratti e le loro eventuali nomine risulterebbero illegittime. Evidentemente, neanche per la Procura di Catania, che stamattina ha inviato la Digos alla Regione per farsi consegnare atti di giunta e copie di leggi, la storia è del tutto chiara. Così come chiari non sono mai stati i contorni di tutta questa storia: i maligni sussurrano che tutta questa pièce amministrativa sarebbe stata tenuta in piedi dal governo regionale, per tentare di tenere libere le poltrone della sanità catanese e quindi barattarle con forze politiche più mansuete con la giunta Crocetta di quanto lo sia il Partito democratico, a cui Cantaro e Pellicanò farebbero riferimento.
E proprio su questo argomento, qualche giorno fa, si è registrata una presa d posizione del Presidente della Regione siciliana: «È singolare che la vicenda dei manager del Policlinico e del Cannizzaro di Catania venga vista come un affaire legato allo scontro politico tra le correnti del Pd – ha detto Crocetta – La scelta di Cantaro è stata fatta all’interno di una terna di nomi proposta dal rettorato di Catania e quella di Pellicanò sulla base di una proposta dell’assessorato alla Salute, che ha giudicato degno di nomina tale dirigente. Quando il 24 giugno firmai il decreto di nomina dei manger, l’indomani della pubblicazione del decreto del governo che diceva che tutti coloro che sono in pensione non possono assumere incarichi di nessun tipo, qualche giornale maliziosamente scrisse che avevo nominato Pellicanò e Cantaro per favorire due dirigenti vicini al Pd prima che scattasse l’incompatibilità prevista dal decreto governativo. Ma non avendo la sfera di cristallo, non potevo essere a conoscenza delle decisioni future del governo nazionale».
«Da quel momento – ha proseguito il governatore – ci siamo posti il problema sull’applicabilità o meno di tale norma rispetto a una nomina effettuata e un contratto ancora non sottoscritto. Vale di più giuridicamente l’atto di nomina o la legge che vieta di attribuire incarichi a personale in quiescenza? Io ritengo che prevalga la legge. I due dicono di avere ragione, facciano ricorso e rispetteremo sentenza. Oggi abbiamo un parere dell’avvocatura che ci impedisce la nomina, tutto il resto fa parte di logiche che non ci appartengono. Ci dispiace, ma dura lex sed lex». Dunque per Crocetta, tutto era risolto. Ma gli inquirenti, evidentemente, non la pensano così.