Troppo spesso ci si dimentica di chi, denunciando la Mafia, ha pagato con la vita il proprio coraggio
Pippo Fava, una voce scomoda
“Pippo Fava ha scritto un sacco di libri, e cose di teatro anche. Però Pippo Fava non è mica uno importante. Per esempio, arriva una centoventiquattro scassata, dalla centoventiquattro esce uno con la faccia da saraceno e un’Esportazione che gli pende da un angolo della bocca e ride e quello è Pippo Fava.” Queste le prime righe, scritte da Riccardo Orioles, nell’editoriale apparso sul numero di gennaio del 1984 della rivista I Siciliani. Qualche giorno prima, il cinque, il Direttore (così lo chiamavano) era stato ammazzato dalla mafia. Aldo Ercolano e Benedetto Santapaola, detto Nitto (il boss dei boss di Catania e in Sicilia Orientale) sono stati condannati in tutti i gradi di giudizio.
Nel gennaio 1983, esattamente un anno prima, in tutte le edicole di Catania nasceva la rivista I SICILIANI.
Lo realizzava la cooperativa Radar fondata da Giuseppe Fava che qualche mese prima era stato cacciato dal Giornale del Sud per aver parlato più volte di mafia e per aver fatto il nome di un mafioso arrestato a Milano e parente di un politico catanese. Sicuramente quel primo numero suscitò un grande scalpore nella Catania bene. L’inchiesta di punta aveva per titolo: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa“, saltavano fuori i nomi di Rendo, Costanzo, Graci e Finocchiaro. Ovvero i quattro costruttori che oltre a cementificare Catania avevano esteso i loro tentacoli fino a Palermo e anche in “continente”. Il generale Dalla Chiesa, prima di essere ammazzato si era messo sulle loro tracce attraverso accertamenti bancari che all’epoca erano alquanto difficoltosi.
Catania tremava, Fava e tutto il suo gruppo nel giro di un anno realizzarono inchieste, facendo nomi e cognomi, creando una coscienza antimafiosa e un giornale libero dove si raccontava la Sicilia di quegli anni, con tutti i pregi e i difetti, senza servilismi o censure di natura alcuna. La Catania che tremava, i ben pensanti, compreso i noti giornali locali si sprecavano nel rivendicare a voce alta che “la mafia non esiste e che così non si fa altro che infangare il nome della Sicilia”. La rivista nel frattempo vendette numerose copie anche nel resto d’Italia. Fava dunque era il simbolo di un gruppo che andava annientato, un gruppo scomodo non solo alla mafia ma anche a chi, il potere politico e imprenditoriale, in quegli anni faceva affari con la mafia. Un gruppo che lavorava come nessun altro giornale aveva fin’ora fatto.
Fu ucciso a sangue freddo, forse senza neanche rendersene conto. Ma morto Fava, la rivista i Siciliani per anni ha continuato a lottare svolgendo il proprio lavoro egregiamente anche in memoria del loro Direttore. Memoria che in questi venti anni non sempre è stata ricordata dalla stampa locale e da una parte della città come sarebbe stato giusto e doveroso nei confronti di una persona che ha dato la vita per la lotta alla
mafia e non solo. Basti pensare che solo poche righe e nulla più ha dedicato La Sicilia, il giornale più diffuso nella Sicilia orientale, alla sentenza della Cassazione che nel gennaio di quest’anno ha condannato definitivamente Santapaola ed Ercolano come esecutori materiali del delitto Fava.
Segno evidente che la memoria e la voce di Fava a vent’anni di distanza è ancora scomoda.