La corte d'assise d'appello di Palermo ha affermato che il coinvolgimento di profili quali il ministro Giovanni Conso o l'ex presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro nella vicenda è stato un «errore di sintassi giuridica»
Trattativa Stato-Mafia, depositate motivazioni della sentenza «Ipotizzare il concorso di eminenti personalità è ingeneroso»
La corte d’assise d’appello di Palermo ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale il 23 settembre scorso ha definito il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Il verdetto ha ribaltato la decisione di primo grado, mandando assolti dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato gli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri. La corte, presieduta da Angelo Pellino, condanno’ invece i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cina’. La sentenza, depositata dopo diverse richieste di proroga dei termini è di 2971 pagine. «Avere ipotizzato – scrive la corte d’assise d’appello – anche nei confronti di eminenti personalità istituzionali, come il ministro Conso o il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un concorso oggettivo alla realizzazione del reato o un cedimento alla minaccia mafiosa, con il risultato di dover compiere poi acrobazie dialettiche per affrancarli da un giudizio postumo di responsabilità penale (facendosi leva sulla genuinità delle intenzioni o sull’aver ignorato i retroscena più inquietanti) a parere di questa corte, oltre che ingeneroso e fuorviante, è frutto di un errore di sintassi giuridica».
«È pacifico – scrivono ancora i giudici -, perché comprovato dalle convergenti allegazioni dei diretti protagonisti della vicenda» che l’ex sindaco di Palermo «Vito Ciancimino intese la proposta inizialmente rivoltagli da Mori e De Donno esattamente nei termini in cui tale proposta era stata formulata, e quindi, così come riassunta, con parole diverse, ma semanticamente equipollenti, dai due ex ufficiali prefetti». E dunque la proposta, continuano le motivazioni, «fu di tentare di stabilire un contatto con i vertici, o comunque con esponenti autorevoli di Cosa nostra per sondarne la disponibilità ad un dialogo finalizzato a trovare un punto di intesa, cioè un accordo, per porre fine alle stragi». Passaggi, questi, che per i giudici non costituiscono reato.
Lo scorso 23 settembre, infatti, fu ribaltata la sentenza di primo grado. Pertanto si determinò l’assoluzione per Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. Assolto anche Marcello Dell’Utri. La sentenza d’appello del processo sulla trattativa Stato-mafia capovolge completamente il verdetto di primo grado dell’aprile 2018. La Corte d’assise d’appello di Palermo, lo scorso settembre era stata presieduta da Angelo Pellino. L’assoluzione era stata dichiarata con la formula perché il fatto non costituisce reato. Nella stessa sentenza era arrivata la condanna a 27 anni per Leoluca Bagarella a 27, la pena per lui è stata ridotta rispetto al primo grado; prescrizione per il boss Giovanni Brusca, mentre era stata confermata la condanna per il capomafia Nino Cinà. Al centro del processo ci sono i fatti accaduti dopo le stragi del ’92 e il presunto tentativo dei vertici del Ros dei carabinieri di instaurare un rapporto con i vertici di Cosa nostra, per il tramite dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, per cercare una mediazione che facesse cessare gli attentati contro i politici italiani.