Un centinaio di persone sono scese in piazza ieri per quello che doveva essere il corteo conclusivo della settimana di mobilitazione. Obiettivo finale liberare i tre piccoli imprenditori da mercoledì incatenati davanti alla sede Serit etnea. Diventati simboli loro malgrado, ma che hanno invece deciso di continuare a oltranza. «Sono deluso da questa finta manifestazione», dice uno di loro. Protesta che ha visto sfilare insieme il movimento degli agricoltori, il partito di estrema destra - ma senza bandiere - e alcuni giovanissimi tra gli insulti rivolti ai cittadini indifferenti. Guarda le foto
Forconi e Forza Nuova insieme, ma divisi Restano incatenati i tre padri di famiglia
«Me ne andrò da qui solo quando Torino o Milano indietreggeranno. Catania intanto passerà alla storia come la città più codarda d’Italia». Paolo D’Amato, uno dei tre piccoli imprenditori da mercoledì incatenati davanti alla sede Serit etnea annuncia così il proseguimento a oltranza della loro protesta. La polemica nelle parole del padre di famiglia, come lui stesso si definisce, è rivolta alla scarsa partecipazione al corteo che ieri ha sfilato per le strade di Catania e che avrebbe dovuto concludere la settimana di mobilitazione in tutta Italia. Una rivoluzione annunciata, e mai avvenuta nell’isola, che ormai non è più soltanto del Movimento dei Forconi che due anni fa paralizzò la Sicilia. Perché a scendere in piazza nel capoluogo etneo sono stati anche semplici cittadini, qualche studente e aderenti al partito di estrema destra Forza Nuova. Ma senza bandiere, eccetto il tricolore. In totale un centinaio di persone che hanno sfilato da piazza Università fino alla sede Serit, per ricongiungersi con i tre uomini incatenati e liberarli simbolicamente, almeno nelle intenzioni degli organizzatori.
A programmare il corteo e a chiedere le necessarie autorizzazioni è stato proprio Giuseppe Bonanno Conti, coordinatore per il Sud Italia di Forza Nuova. Ma a titolo personale, senza alcuna sigla. Presente tra la piccola folla anche Franco Crupi, leader etneo del Movimento dei Forconi. Insieme, ma non proprio uniti come due anni fa. Tra i vari gruppetti in cui è divisa la piazza in attesa della partenza del corteo ci sono anche una decina di giovanissimi. Dai 15 ai 17 anni, quasi tutti dell’istituto nautico etneo, da una settimana non vanno a scuola per aderire alla protesta. «Ma non siamo Forconi, eh», ci tengono a chiarire. «E nemmeno forzanuovisti. Siamo qui come cittadini». Nei loro discorsi ricorre spesso una parola: patria. «Ci chiediamo dove sarà il nostro futuro. Di certo all’estero e non è giusto per la nostra patria», dicono quasi in coro. C’è chi vorrebbe lavorare nel turismo – «E in Italia avrei molto da fare, ma non è possibile» -, chi nella marina militare, «ma se andassi all’estero sarebbe come combattere contro la mia patria».
E poi ci sono loro, i tre padri di famiglia. Simboli della protesta loro malgrado. «Io sono il leader solo dei miei figli – dice Salvatore Caruso – Noi staremo qui a oltranza. Passano nove mesi per mettere al mondo una creatura e poi, affinché cammini, ce ne vorranno altri dodici. La strada è ancora lunga». «Sono deluso da questa finta manifestazione – gli fa eco Paolo D’Amato – Se qualcuno era convinto che così sarebbe riuscito a farmi slegare, ha sbagliato». A decidere il momento giusto sarà invece «il popolo», promettono i tre. Lo stesso popolo variegato che ha sfilato per le strade di Catania, diviso al suo interno e con diverse anime. Una mancanza di coordinamento che ha messo a rischio l’intero corteo, quando inizia a girare la voce della revoca dell’autorizzazione da parte della questura. «Dicono che in cambio vogliono che facciamo slegare i tre alla Serit – è la notizia che corre di bocca in bocca – E’ un ricatto». Una voce che si rivelerà falsa, ma il corteo parte comunque con più di un’ora di ritardo. A causa della scarsa partecipazione, ma soprattutto della decisione dei tre piccoli imprenditori di non abbandonare la loro personale protesta.
Tra blocchi del traffico, cori da stadio e l’inno di Mameli emergono tutte le differenze del gruppo raccolto dietro allo striscione «Italia sovrana». «Unni su i catanisi? – chiede Crupi – I siciliani semu tinti». Un appello alla cittadinanza indifferente raccolto da tutti i manifestanti. Ma con diversa intensità. «Chi non si ribella non ha diritto di lamentarsi», è lo slogan che proviene dal megafono. «Ehi, tu, posa il cellulare e vieni qui. Pezzi di merda, smettetela di andare per negozi e unitevi a noi», è il tenore delle urla di gran parte della base rivolta ad automobilisti e passanti. «La chiamano la protesta dei forconi, dei fascisti o dei mafiosi – strilla ancora il megafono – Ma questa è la protesta dei padri di famiglia che non hanno più il pane».