Gli occhi della mafia di Porta Nuova sulle elezioni Il blitz perché avevano capito di essere nel mirino

Se Giuseppe Incontrera non fosse stato ucciso, non è detto che la Direzione distrettuale antimafia avrebbe proseguito a indagare sul mandamento Palermo Centro-Porta Nuova senza disporre il fermo delle 18 persone che sono state portate in carcere dai carabinieri con il blitz denominato Vento. È ciò che emerge dal provvedimento siglato dai sostituti procuratori Giovanni Antoci, Luisa Bettiol, Gaspare Speciale e dall’aggiunto Paolo Guido. Tra i motivi che hanno spinto i magistrati della Dda a intervenire con un provvedimento d’urgenza, che adesso dovrà superare la convalida del giudice per le indagini preliminari, non c’è soltanto il rischio di nuovi fatti di sangue per vendicare Incontrera, il cui presunto assassino – il 49enne Salvatore Fernandez – si è costituito lunedì. Gli inquirenti hanno temuto infatti che alcuni degli indagati potessero fare perdere le proprie tracce, dopo avere capito di essere finiti sotto la lente degli investigatori. È il caso di Salvatore Di Giovanni. Il 19 maggio, l’uomo confida alla moglie la necessità immediata di cambiare casa: «Da stasera ci dobbiamo coricare là o mi ci devo coricare da solo perché è già partita la segnalazione». Il 28enne, a quel punto, avrebbe cercato di tranquillizzare la donna, evidentemente turbata dalla novità. «Statti tranquilla e non fare così, perché pure a me dispiace, però purtroppo che ci possiamo fare…».

Salvatore Di Giovanni è accusato di fare parte della famiglia mafiosa di Porta Nuova. Lo stesso vale anche per Giuseppe Auteri, Calogero Lo Presti – meglio conosciuto negli ambienti criminali come zu Piero -, Giuseppe Giunta, Nicolò Di Michele, Antonino Ventimiglia, Roberto Verdone, Gioacchino Pispicia, Giorgio Stassi, Antonino Stassi e Salvatore Incontrera, il figlio dell’uomo ucciso in strada il 30 giugno. Insieme al padre, ritenuto al vertice del mandamento di Cosa nostra con Giuseppe Di Giovanni e Tommaso Lo Presti, il 24enne, a metà aprile, avrebbe lasciato l’abitazione per il timore di un imminente blitz. Per la polizia Giuseppe Incontrera, un mese e mezzo prima di essere assassinato, sarebbe stato in procinto di lasciare casa. Così come Leonardo Marino.

L’inchiesta spazia dal traffico di sostanze stupefacenti alle estorsioni. La droga veniva venduta con continuità in piazza Ingastone, via Regina Bianca, alla Vucciria, via Cipressi, ma anche a domicilio, garantendo di fatto il servizio a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per quanto riguarda il pizzo, i carabinieri ritengono di avere ricostruito una serie di pressioni attuate dagli esponenti della cosca per sottomettere gli imprenditori. «O levate mano subito o fate avere duemila euro a piazza Ingastone», è il messaggio recapitato a voce da Giuseppe Giunta, Girolamo Botta – su cui la procura procede separatamente – e Incontrera agli operai di una ditta che, l’anno scorso, aveva un cantiere in via Antinori. Situazione simile in un cantiere di via Zisa. A un rivenditore di moto e biciclette sarebbero stati invece sottratti quattro mezzi del valore di 1500 euro ciascuno, per poi tentare la strada del cavallo di ritorno fissando in cinquemila euro il prezzo della restituzione. Il clan sarebbe riuscito inoltre a costringere un uomo a cedere un terreno in zona Danisinni. Gli investigatori, invece, hanno quantificato in 150 euro a settimana il pizzo imposto a una ricevitoria in piazza Ingastone, mentre la dazione di mille euro sarebbe stata pagata sotto costrizione dai gestori di un ristorante in via Degli scalini. 

La mafia avrebbe messo gli occhi anche sulle elezioni. Nel decreto di fermo si fa menzione ad azioni attuate per ostacolare il libero esercizio di voto in occasione di consultazioni elettorali, senza tuttavia esplicitare una tornata specifica. L’accusa è rivolta alla maggior parte degli indagati, ma l’elenco degli indiziati è più lungo: nel provvedimento, infatti, ricorrono più omissis, a dimostrazione di come l’attività della Dda sia ancora in corso.


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