Salvatore e Giuseppe, 50enni che hanno vissuto per strada, non si occupano solo della guardiania della struttura. «Sono anche mentori perché da quella situazione ci sono passati», spiega a MeridioNews Edoardo Barbarossa di fondazione Èbbene
La storia dei senzatetto diventati custodi del dormitorio «Nessuno è più adatto di loro ad accogliere chi arriva»
«Nessuno avrebbe potuto svolgere questo ruolo meglio di loro». Loro sono Salvatore e Giuseppe, due uomini catanesi entrambi sulla cinquantina che, dopo avere trascorso tanti anni per strada a Catania, sono diventati i custodi del dormitorio pubblico La Meta di via Federico Delpino a Librino. «Sono custodi non solo della struttura – spiega a MeridioNews Edoardo Barbarossa, il presidente della fondazione Èbbene che la gestisce – ma soprattutto delle persone. Aprono le porte dell’immobile non solo fisicamente perché si occupano anche della prima accoglienza. Per questo, soprattutto Salvatore e Giuseppe ci sono sembrati i più adatti perché, nella situazione di chi arriva, ci sono passati anche loro».
Dal marciapiede del capoluogo etneo in cui avevano sistemato il loro giaciglio di fortuna, si sono decisi a spostarsi all’inizio del lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19. E, in questi ultimi due anni, sono stati ospiti della struttura di via Alessandro La Marmora (una traversa di corso Indipendenza, vicino a piazza Risorgimento) affidata a Croce Rossa e fondazione Èbbene. «Lì, li abbiamo accolti in questi ultimi due anni e – racconta Barbarossa – abbiamo costruito per loro un percorso di inclusione sociale e lavorativa». Che, in questo caso, si è concluso nel migliore dei modi: due regolari contratti con cui sono diventati dipendenti uno di Croce Rossa e l’altro della cooperativa Mosaico, centro di prossimità di Èbbene. «Nel corso del piano di accompagnamento condiviso abbiamo individuato quali fossero le loro peculiari abilità e, con il tempo, si è creato anche un rapporto di fiducia reciproca – ricostruisce il presidente della fondazione – Così gli abbiamo fatto la nostra proposta lavorativa e loro sono stati felici e orgogliosi di accettare». Con quella firma, Salvatore e Giuseppe sono diventati custodi del dormitorio e mentori dei clochard che sceglieranno di essere ospitati nella struttura. Inaugurata appena un mese dopo lo sgombero da piazza della Repubblica – per cui adesso c’è una denuncia alla procura e una interrogazione parlamentare – senza che per loro ci fossero alternative visto che nelle altre strutture non c’era nemmeno un posto libero.
Adesso, nel dormitorio aperto un mese fa, dopo anni di ritardi e passi avanti che in realtà erano passi indietro, ci sono otto persone, tutti uomini nonostante ci sia anche un intero reparto femminile. Una decina stanno facendo i colloqui preliminari per verificare alcune condizioni prima dell’ingresso in struttura, dove l’Ente nazionale protezioni animali (Enpa) ha messo a disposizione delle cucce dove i clochard possono portare anche i loro cani. «Innanzitutto dobbiamo controllare che chi fa richiesta di entrare sia vaccinato per il Covid-19 o abbia un tampone negativo – spiega il presidente – e poi che non soffra di dipendenze. In questo caso, non potremmo accoglierli sia per una questione di competenze ma anche per non mettere a rischio gli altri». Anche i due custodi vivono nell’immobile di Librino, dove hanno i propri alloggi al piano superiore e si alternano per effettuare il servizio di guardiania notturna. «Due persone di circa cinquant’anni, con un passato da senza fissa dimora, a Catania non avrebbero avuto nessuna speranza di entrare nel mondo del lavoro – afferma Barbarossa – Per questo, noi siamo ancora più soddisfatti di avere dato loro questa possibilità che hanno meritato».
Quando, a dicembre scorso, l’allora assessore ai Servizi sociali Giuseppe Lombardo aveva annunciato al nostro giornale che il bene confiscato alla mafia non sarebbe più andato ai clochard – «ci siamo accorti che era troppo decentrato», dichiarò – non si sbagliava. Il soprannome di «città satellite», del resto, se lo è meritato fin dalla metà degli anni Settanta quando è stato progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange. Quando poi era stato deciso di farne comunque un dormitorio, era stato lo stesso assessore ad annunciare che, per ovviare alla questione, si era pensato a una sorta di servizio navetta. Che, però, non è stato attivato e nemmeno previsto almeno per il momento. Di accompagnare i senzatetto per il primo ingresso si occupa l’Unità di strada di Mosaico. Una volta arrivati lì, per spostarsi, devono affidarsi ai mezzi pubblici che nel quartiere di periferia si limitano a qualche autobus. E di arrivare al centro della città non possono fare a meno perché nella struttura non c’è nessun servizio di cucina. «Ci siamo attrezzati solo per la colazione – conferma Barbarossa – ma, per il resto, devono fare riferimento alle altre mense in città».