Dall'ordinanza dell'inchiesta emerge il presunto meccanismo utilizzato per vincere le resistenze delle giovani. Una di loro, minacciata di essere esclusa dalla festa speciale del 14 febbraio, si scusa e cede. Sullo sfondo, il ruolo di Fabiola Raciti, Rosaria Giuffrida e Katia Scarpignato e i loro confronti sull'inchiesta già conosciuta
12 apostoli, il San Valentino di Pietro Capuana Ripicche, ricatti e «contromosse» alle indagini
Che ci si creda o no, Dio e il paradiso cristiano non sembrano essere così vicini a Lavina. Stando ai racconti delle ragazze, raccolti nelle carte dell’inchiesta 12 apostoli, per loro sarebbe stato piuttosto un inferno dove avrebbero subito una sorta di lavaggio del cervello affinché concedessero attenzioni speciali al capo carismatico Pietro Capuana. Il 73enne finito in carcere, considerato dagli inquirenti a capo di una associazione a delinquere finalizzata all’abuso sessuale di minori, sarebbe stato schermato da tre presunte collaboratrici poste ai domiciliari: Fabiola Raciti, Rosaria Giuffrida e Katia Scarpignato. Che, a leggere l’ordinanza, avrebbero fatto sentire pazze le ragazze che si rifiutavano o si mostravano riluttanti nel concedersi all’arcangelo. La gip Francesca Cercone scrive che questa «attività di persuasione che le spingeva a intrattenere rapporti sessuali con Capuana» sarebbe stata esercitata in particolare da Fabiola Raciti e dalla sua vice Katia Scarpignato. Tre figure femminili che – anche nel momento in cui apprendono dell’esistenza di una indagine – secondo l’ordinanza della giudice continuerebbero a sentirsi intoccabili.
In una conversazione telefonica tra Capuana e Raciti, intercettata il 2 febbraio 2016, i due parlano di S., una ragazza per cui l’uomo – si legge – si sentirebbe «ragionevolmente molto attratto». Ma lei sarebbe piuttosto titubante. Motivo per cui viene ormai ritenuta inaffidabile. «Tu non ti fidi più, giusto?», esordisce Raciti. «Certo», conferma lui. E lei racconta: «Le ho fatto questo discorso e lei è rimasta anzi… scioccata di questa cosa… cose da pazzi questa è pazza». «Giusto», ribatte Capuana. «E qui le ho detto che dobbiamo essere veramente leali e vicini… tu devi essere certa… sì sì, no no, sennò non ci vai… non sei la persona giusta… lei dice “no no ma che fai scherzi… no anzi mi dispiace per questa cosa che è successa”… mi raccomando perché sarai messa alla prova anche tu». «Va bene, gioia, grazie», abbozza l’interlocutore.
La ragazza viene esclusa dai festeggiamenti di San Valentino, «ragionevolmente al fine di indurla a cedere», scrive la giudice per le indagini preliminari. Un’esclusione di cui si lamenta pochi giorni dopo con Rosaria Giuffrida in un altro contatto telefonico: «San Valentino – le spiega l’indagata – è una festa poco più particolare, non è tipo Pasqua, Natale, sono tutte le persone più vicine a lui… siccome tu non sei in sintonia con lui… praticamente non ci sei». La decisione di tenerla fuori «aveva determinato una grande frustrazione nella ragazza» che, nei giorni successivi, avrebbe inviato dei brevi messaggi a Capuana per chiedere scusa: «Mi manchi tanto… scusami per tutto… solo il fatto che tu stai con me mi rende felice, voglio rimediare a tutto… Perdonami. Ti amo tanto… Sei il mio uomo!». Capuana le dice di raggiungerlo a casa. Lei lo fa. Ancora due giorni, poi Fabiola Raciti, al telefono con un’altra donna, conferma che S. «ha superato quella cosa» e che Capuana la starebbe annoiando con la sua fissazione per la minore: «Ha una giornata che mi fa una testa… di quant’è meravigliosa, di quant’è … minchia che palle… “lei c’ha i doni del capo, lei può fare la guerriera“». Con quest’ultima frase attribuita proprio al 73enne.
Nella sua deposizione, N., una ragazza che al momento dei fatti raccontati aveva 11 anni, fa mettere a verbale che Fabiola Raciti «l’aveva esortata ad assumere la pillola anticoncezionale» in considerazione del fatto che «aveva avuto rapporto sessuali con Capuana», annota la gip. «Una volta – dichiara la ragazza – quando avevo 12 o 13 anni mi ha chiamato Raciti perché doveva parlarmi. Io ero in ansia perché pensavo che lui fosse in astio con me». In quell’occasione «Raciti – prosegue – mi ha detto che dovevo prendere la pillola come contraccettivo, io le ho detto che avevo difficoltà a tenerle perché avevo paura che mia madre lo scoprisse e la Raciti mi ha obbligata a prendere la pillola del giorno dopo. Lo ha fatto solo quella volta».
Poco prima che gli avvisi di garanzia venissero notificati, Raciti e Scarpignato sono già a conoscenza della denuncia avanzata dalla famiglia di una minore, dunque saprebbero che la procura si sta muovendo. Lo avrebbero appreso da Mimmo Rotella, che a sua volta era stato informato da padre Orazio Caputo, padre confessore della madre che ha sporto denuncia. Al telefono le due donne poi arrestate studiano, da quanto si legge, una possibile contromossa. Su questo Scarpignato è perplessa. Ma Raciti la rimbrotta: «Ma quale non si può fare, una che lo sa non si può fare una contromossa? Che cosa stai dicendo, con altri cinquemila testimoni? Lei – aggiunge – ha i suoi (si riferisce ai testimoni contattati dalla denunciante, ndr) e noi abbiamo i nostri… e poi insistevo sul fatto della pazzia… È parola su parola».
Proprio sul ruolo di Mimmo Rotella, ex assessore regionale e marito di Rosaria Giuffrida, di padre Orazio Caputo e dell’ex presidente dell’associazione Salvatore Torrisi, per i quali viene rigettata la misura degli arresti domiciliari richiesta dai pm per favoreggiamento personale, la giudice puntualizza che, pur essendo emerso che i contatti tra i tre sull’inchiesta, scattati dopo la violazione del segreto confessionale da parte del prete, «avessero reso partecipi di tali notizie Giuffrida e Scarpignato», non ritiene, in assenza di ulteriori elementi, «che tali delazioni fossero finalizzate ad aiutare gli indagati a eludere le investigazioni». Quei contatti, scrive Francesca Cercone, farebbero pensare invece che l’intenzione dei tre indagati sarebbe stata quella di avvertire i vertici ecclesiastici, «segnatamente il vescovo e il vicario».