Fuori dall’aula la solita folla di congiunti, mentre dentro c’è sempre lui. Il 73enne Pietro Capuana, accusato di essere al vertice della cosiddetta congrega degli orrori di Aci Bonaccorsi. Trascorsa una settimana dall’ultima udienza, l’uomo, che si trova detenuto in carcere, è ritornato nel palazzo di giustizia di Catania per ascoltare le rivelazioni di altre sei testimoni. Ragazze che gli puntano il dito contro, accusandolo di avere mischiato preghiere e violenze sessuali nelle tre case utilizzate dall’associazione cattolica Cultura e ambiente. Ribattezzato «l’arcangelo» dai suoi adepti, Capuana, secondo la procura etnea, avrebbe «soddisfatto le sue pulsioni sessuali definendosi pervaso dallo Spirito santo». Un soggetto «speciale», lo definivano le sue tre collaboratrici che adesso si trovano agli arresti domiciliari, tanto da ritenerlo particolarmente «vicino a Dio».
Le sei ragazze chiamate oggi a testimoniare, dopo le tre che si erano alternate in tribunale la scorsa settimana, hanno parlato nascoste dietro un paravento in legno, interrompendo spesso tra le lacrime le deposizioni. L’udienza, svolta a porte chiuse con l’ingresso dell’aula presidiato dai carabinieri, si è conclusa dopo quasi cinque ore e ha come obiettivo quello di raccogliere le dichiarazioni da utilizzare come prove, nonostante manchi un vero e proprio rinvio a giudizio, essendo le indagini ancora aperte.
A denunciare tutto è stata la madre di una presunta vittima. Che nel 2016 ha deciso di recarsi dalle forze dell’ordine segnalando che la ragazza, fin da quando aveva 11 anni, sarebbe stata destinataria di abusi sessuali da parte di Capuana. Nelle carte dell’inchiesta viene tratteggiato un periodo, quello successivo alla prima denuncia, fatto di timori e difficoltà della vittima che sarebbe stata anche avvicinata da una delle componenti della setta, ricevendo rassicurazioni su quell’esperienza mistica «fatta di amore dall’alto», che la stessa collaboratrice aveva provato da giovane.
Passaggio preliminare a una serie di lettere che le ragazze avrebbero scritto con lo scopo di scagionare il vertice dell’associazione in caso di grane giudiziarie. Una situazione in cui si sarebbero mischiate anche pressioni e paure ma che però non hanno intimorito un’altra madre, che ha deciso di denunciare fatti analoghi a quelli subiti dalla prima vittima. Inizia così l’indagine della procura che porta a ricostruire quello che gli inquirenti hanno definito «un plagio di massa, fondato su argomenti di carattere religioso».
La vicenda giudiziaria prosegue anche sul fronte del tribunale del Riesame. Negli scorsi giorni la procura di Catania ha fatto ricorso ai giudici per ottenere la misura degli arresti domiciliari nei confronti di altri tre indagati: Mimmo Rotella, Orazio Caputo e Salvatore Torrisi. Il primo, marito dell’indagata Rosaria Giuffrida, è accusato di avere «rivelato a Katia Scarpignato (indagata pure lei, ndr) la sussistenza di indagini in corso». C’è poi la posizione di Caputo, di professione prete. L’uomo, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe violato il segreto del confessionale. Rivelando all’ex presidente dell’associazione, Torrisi, la volontà della mamma di una presunta vittima di rivolgersi agli inquirenti.
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