Fondi europei, la Sicilia deve restituire 380 milioni Il Tribunale dell’Ue: «Irregolarità sono sistemiche»

Consulenti esterni privi delle qualifiche richieste; spese non attinenti ai progetti; violazione delle procedure di appalto; progetti presentati dopo la scadenza dei termini; docenti, esperti e fornitori selezionati in maniera illegittima. Sono solo alcune delle violazioni che, prima la Commissione europea e adesso in maniera definitiva anche il Tribunale dell’Ue, hanno riscontrato nella spesa dei fondi comunitari destinati alla Sicilia nel periodo 2000-2006. Motivo per cui i giudici del Lussemburgo, rigettando il ricorso dell’Italia, hanno confermato il taglio di un terzo dei fondi: 380 milioni di euro a fronte di un totale di 1,2 miliardi di euro. Soldi che adesso la Regione dovrà restituire all’Europa. 

All’attacco il Movimento 5 stelle che da tempo ha sollevato l’attenzione sulle critictà della spesa dei fondi comunitari in Sicilia. «Ex governatori e dirigenti devono pagare – dicono i deputati all’Ars Valentina Zafarana e Luigi Sunseri e il deputato europeo Ignazio Corrao -. Musumeci avvii subito un’indagine interna per dirci i nomi e i cognomi dei soggetti che hanno portato a questo disastro storico e certificato e venga subito a riferire in aula. Dovremo restituire all’Europa 379 milioni di euro relativi al FSE 2000-2006. La sentenza è uno schiaffo violentissimo non solo alla dirigenza regionale nella gestione dei fondi Ue, ma purtroppo anche ai siciliani e al mondo della formazione, perché certifica senza appello la mangiatoia della politica ai danni della formazione».

La decisione odierna affonda le radici in un lungo iter di verifica affrontato dalla Commissione europea, partito nel 2005 e che ha visto due fasi. In seguito a queste due verifiche contabili, sono avvenuti diversi scambi di corrispondenza tra le autorità italiane e la Commissione europea, nel corso dei quali quest’ultima ha formulato raccomandazioni, ha richiesto l’attuazione delle misure correttive da parte delle autorità italiane e, più in generale, ha indicato quale fosse il seguito appropriato da dare alle irregolarità constatate.

Queste ultime in particolare hanno riguardato operazioni non ammissibili («progetti presentati dopo la scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione, progetti non ammissibili alle misure per le quali erano stati dichiarati, dichiarazione a posteriori di progetti non conformi ai criteri del Fse»);  spese non ammissibili («relative al personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti; errata ripartizione dei costi indiretti e/o delle spese parzialmente attribuibili ai progetti; consulenti esterni privi delle qualifiche richieste; giustificativi di spesa insufficienti, spese non attinenti ai progetti, spese contabilizzate in modo inappropriato»); inosservanza delle condizioni relative alle sovvenzioni per quanto concerne la partecipazione di terzi; esecuzione delle attività non conforme alle descrizioni dei progetti; violazione delle procedure di appalto e di quelle per la selezione di docenti, esperti e fornitori. 

«Secondo la decisione impugnata – si legge nel provvedimento – poiché, da una parte, le irregolarità constatate sono ricorrenti e, dall’altra, sussistono gravi carenze dei sistemi di gestione e di controllo, ossia, più in particolare, delle verifiche di gestione di primo livello, della certificazione delle dichiarazioni di spesa e del seguito dato ai controlli contabili, le irregolarità dovevano ritenersi, per la loro natura, sistemiche».

«Sono 5 anni – denuncia il grillino Corrao – che lanciamo l’allarme. Fino all’ultimo speravamo che gli esperti, gli alti dirigenti, i superconsulenti avessero ragione e mettendoci l’anima in pace avremmo accettato con piacere il verdetto di incapaci e incompetenti allarmisti. Purtroppo non è andata così e i nostri calcoli, studi si sono rivelati esatti». Il Movimento 5 stelle parla di «scenario terrificante, non solo – dicono – rischiamo un’importante riduzione dei 4 miliardi certificati da Crocetta, ma rischiamo di non avere più la possibilità di spesa dell’attuale e vitale programmazione».


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