Commissione antimafia: in Sicilia 6 impresentabili Uno non sarebbe stato candidabile per la Severino

La commissione nazionale Antimafia ha individuato sei impresentabili tra i candidati alle Regionali siciliane. Chi sono? I nomi al momento non vengono resi noti, perché, spiega la presidente Rosy Bindi, «non sono definitivi i nostri accertamenti e non c’è stata ancora la proclamazione degli eletti da parte degli uffici elettorali siciliani». Si sa però che di questi sei, uno non poteva essere candidato perché non in regola con i requisiti della legge Severino, mentre cinque incorrono nelle previsioni del cosiddetto codice di autoregolamentazione della Commissione antimafia, non vincolante. 

La posizione più rilevante, su cui la commissione attende ancora alcune risposte da una Procura siciliana, è quella di un candidato della coalizione di centrosinistra, guidata da Fabrizio Micari, in uno dei collegi della Sicilia orientale che avrebbe omesso, al momento dell’autodichiarazione, di aver ricevuto una condanna per bancarotta fraudolenta maggiore a due anni, circostanza che non gli avrebbe permesso di correre alle Regionali, secondo quanto stabilito dalla legge Severino. Il candidato, in ogni caso, non sarebbe poi stato eletto, avendo conseguito poche centinaia di voti. 

I lavori della commissione antimafia sono passati in seduta segreta per l’analisi delle singole posizioni nominative. «Non sono infatti definitivi tutti i nostri accertamenti – ha precisato Bindi – perché attendiamo ancora alcuni riscontri dagli uffici giudiziari; inoltre, non essendoci ancora la proclamazione degli eletti da parte degli uffici elettorali siciliani, non possiamo ancora sapere se scatteranno le sospensioni previste dalla legge Severino. Naturalmente, appena ricevute queste informazioni, se tutto sarà confermato, desecreteremo immediatamente questo resoconto stenografico e i suoi contenuti potranno essere resi pubblici». 

La commissione ha preso in esame le situazioni alla data del 16 ottobre, «quindi – ha precisato la presidente – non potevano emergere, in quanto ancora in fase di indagine e perciò segrete, le note situazioni che si sono tradotte in provvedimenti giudiziari, comprese le ordinanze di custodia cautelare in carcere, che sono state eseguite dopo le elezioni», come il caso di Cateno De Luca (Udc), arrestato e poi scarcerato per un’accusa di evasione fiscale, o di Luigi Genovese (Forza Italia), indagato per riciclaggio e altri, emersi subito dopo la data del voto. 

La presidente Bindi ha ricordato infine che la commissione da lei presieduta aveva deliberato di effettuare il lavoro di verifica delle candidature, sia in relazione alle disposizioni della legge Severino, così come era stato fatto per le Regionali del 2015 e per le Amministrative del 2016, sia in relazione alle previsioni del codice di autoregolamentazione contenuto nella relazione approvata dalla Commissione il 23 settembre 2014. «In base ad un accordo unanime tra i gruppi, le coordinate temporali erano state determinate in modo da evitare sovrapposizione con l’ultima settimana di campagna elettorale. È infatti noto – ha concluso Bindi – che i tempi di una tale attività di verifica sono alquanto ridotti, ristretti tra i termini delle operazioni di ammissione delle candidature da parte delle commissioni elettorali e poi della campagna elettorale, si era perciò convenuto di non rendere pubbliche eventuali risultanze prima dell’ultima settimana precedente le elezioni».


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