Fatta luce sulla scomparsa del tabaccaio Bruno «Fatto a pezzi, bruciato e dato in pasto ai maiali»

Un caso forse risolto definitivamente dopo 13 anni. Giuseppe Bruno, titolare di una rivendita di tabacchi a Villarosa, scomparso il 27 maggio del 2004, sarebbe stato ucciso con un’inaudita ferocia a causa di un credito che voleva riscuotere dai suoi assassini. Strangolato, fatto a pezzi con una motosega, dato in pasto ai maiali e in parte bruciato dentro un fusto metallico. Gli autori di tanta atrocità sarebbero Michele e Maurizio Nicosia, 53 e 54 anni. Entrambi arrestati dai carabinieri del comando provinciale di Enna e dalla squadra mobile di Enna, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta. Sono accusati di omicidio, distruzione di cadavere e associazione mafiosa. 

Insieme a loro finiscono in carcere altri due esponenti della stessa famiglia: Damiano e Amedeo Nicosia, 60 e 51 anni. Accusati di associazione mafiosa, finalizzata a commettere omicidi, usura, traffico di droga, detenzione e porto d’armi. Nonché del tentativo di gestire il controllo delle attività economiche del territorio. A fornire gli elementi necessari a risolvere il caso è stato un pentito che ha rilasciato dichiarazioni alla Dda di Caltanissetta. Si tratta di Santo Nicosia, fratello di Michele e cugino di Maurizio, entrambi arrestati oggi. «È attendibile perché non aveva sconti di pena da ottenere – spiega il pubblico ministero Santi Roberto Condorelli -. Ha fatto una scelta: allontanarsi da quell’ambiente, ritenendo di raccontare questo omicidio di cui si era occupata la trasmissione Chi l’ha Visto con ben cinque puntate».

E a tal proposito il procuratore capo di Caltanissetta, Maurizio Bertone precisa: «Abbiamo dovuto verificare se le dichiarazioni del collaboratore fossero influenzate dalle ricostruzioni giornalistiche delle trasmissioni televisive, che già molto avevano detto. Il risultato dell’inchiesta ci dice che non sono influenzate, e che anzi il pentito ha corretto alcuni dettagli imprecisi forniti dai media». La dinamica dell’omicidio è agghiacciante. «Il delitto non è premeditato ma nasce d’impeto – precisa Condorelli -. La vittima era andata a reclamare un prestito fatto alla famiglia Nicosia, in particolare a Damiano». Soldi che, secondo gli inquirenti, sarebbero serviti a comprare droga.

La somma, però, non sarebbe stata più pagata quando Damiano e Maurizio Nicosia vengono arrestati nell’operazione Scarface. Ma appena rimessi a piede libero, Bruno raggiunge la masseria della famiglia per reclamare 80mila euro. «Lo fa in modo aggressivo – sottolinea il pm – in modo impensabile davanti a personaggi come Maurizio Nicosia. Che in un capannone prima lo pesta e poi lo strangola con una corda. Il cadavere viene fatto scomparire nei giorni successivi, una parte bruciata in dei bidoni e un’altra data agli animali».  Presente alla conferenza stampa anche Piero Capizzi, sindaco di Calascibetta e legale della famiglia Bruno: «La moglie è come se avesse perso nuovamente il marito». 

ll’epoca dei fatti, maggio del 2004, le indagini furono archiviate perché non furono trovati elementi sufficienti. L’auto di Bruno fu trovata sull’autostrada A19 in una piazzola nei pressi dello svincolo di Mulinello. Le dichiarazioni del pentito coinciderebbero con alcuni degli elementi raccolti 13 anni fa. Il collaboratore Santo Nicosia non sarebbe stato coinvolto direttamente nell’omicidio di Bruno, ma era invece partecipe in altri traffici della famiglia. Quest’ultima non sarebbe affiliata a Cosa Nostra ma negli anni avrebbe soppiantato a Villarosa la tradizionale famiglia mafiosa e precisa la Procura, «controlla il territorio meglio di Cosa Nostra al punto di essere percepito dagli altri clan come tale. La loro forza si esplica nel controllo dei terreni al pascolo, del traffico di droga, e dell’usura». I Nicosia avrebbero anche favorito e protetto la latitanza del boss di Gela, Daniele Emmanuello


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