Deputati regionali incompatibili col nuovo Senato Statuto vs riforma, il parere dei costituzionalisti

Da chi sarà rappresentata la Sicilia in Senato, nel caso in cui vincesse il Sì al referendum sulla riforma costituzionale? Il dubbio nasce dall’incongruenza tra quanto prevede la nuova legge su cui i cittadini sono chiamati a votare il 4 dicembre e quanto contenuto nello statuto speciale siciliano. Da una parte il testo della riforma dice che a palazzo Madama siederanno consiglieri regionali e sindaci; dall’altra, l’articolo tre dello statuto recita: «L’ufficio di Deputato regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un Consiglio regionale ovvero del Parlamento europeo». L’incongruenza è stata sollevata anche da Giancarlo Cancelleri, giovedì nell’aula dell’Ars. «Se dovesse passare il sì – ha chiesto al presidente dell’aula – è possibile che noi in Sicilia, a quel punto, avremmo solo un senatore, cioè il sindaco?».

L’incompatibilità tra il ruolo di consigliere regionale e quello di parlamentare, in realtà, è contemplata anche dalla Costituzione, all’articolo 122. Che però è uno dei passaggi che la riforma modificherà, dando la possibilità di ricoprire entrambi gli uffici. Tuttavia il cambiamento non varrà per le Regioni a statuto speciale come la Sicilia. Per superare l’empasse, secondo la deputata del Pd Anna Finocchiaro, sostenitrice della riforma, «occorrerà una modifica degli Statuti, che avverrà con legge costituzionale su intesa con le Regioni interessate. Niente di straordinario», ha sottolineato la parlamentare siciliana. 

Tuttavia per diversi costituzionalisti, sentiti da MeridioNews, le cose non stanno così. Su una premessa concordano tutti: «Chi ha scritto la riforma evidentemente non si è accorto di questo problema». Parole di Agatino Cariola, docente di Diritto costituzionale all’università di Catania. La riforma costituzionale prevede una ridefinizione delle competenze tra Stato e Regione, in linea di massima virando verso quella che potrebbe essere definita come una ricentralizzazione delle competenze. Cosa che però non vale, ancora una volta, per le Regioni a statuto speciale. Almeno non nell’immediato. «La riforma costituzionale – spiega Cariola – esplicita che si dovranno modificare gli statuti speciali ma precisa che, in attesa che venga fatto, le modifiche introdotte non si applicano in queste Regioni». L’iter per modificare lo statuto siciliano è lungo e complesso, trattandosi di un documento che ha rango costituzionale, quindi soggetto alla stessa procedura aggravata (col doppio passaggio nelle due Camere) prevista per i cambiamenti alla Costituzione. Iter a cui possono dare avvio sia la Regione che il governo nazionale, così come singoli parlamentari.  

Tutti questi passaggi, come detto, dovranno essere affrontati, in caso di vittoria del Sì al referendum, per ridefinire le competenze Stato-Regione. Ma non riguarderebbero l’eleggibilità dei senatori. Per superare il problema dell’incompatibilità non sarebbe necessario fare assolutamente nulla, perché scatterebbe il principio di «abrogazione per incompatibilità». A spiegarlo è Felice Giuffrè, anche lui docente di Diritto costituzionale all’università di Catania. «Il problema dell’incompatibilità è una castroneria – premette -. Lo Statuto siciliano è stato recepito con una legge costituzionale, la numero 2 del 1948. Così come è legge costituzionale quella che, in caso di vittoria del Sì, modificherà la seconda parte della Costituzione. È, dunque, del tutto evidente – continua Giuffrè – che la riforma deroga la norma statutaria incompatibile con la elezione di secondo grado del Senato. Del resto, sono molte le sentenze della Corte costituzionale che ci spiegano come le norme statutarie non in armonia con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale possono addirittura essere dichiarate illegittime. In questo caso, comunque, il problema non si pone nemmeno proprio perché si applica il principio cronologico e si determina l’abrogazione per incompatibilità della norma statutaria con riferimento al Senato delle autonomie. Non è necessario quindi cambiare gli statuti. Il problema non si pone». 

In sostanza dunque, secondo il docente, la nuova norma costituzionale supera le eventuali incompatibilità con norme costituzionali precedenti. Principio su cui anche il professore Cariola concorda. «Avviene una modifica implicita dello statuto – aggiunge – e, a mio avviso, se lo Stato modifica la propria organizzazione non ha bisogno di parere alla Regione». Altri costituzionalisti, invece, eccepiscono sul fatto che i principi di organizzazione del Senato possano essere considerati principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Premessa senza la quale il ragionamento fatto verrebbe meno. Per Cariola e Giuffrè, in ogni caso, non ci sono dubbi: la Sicilia avrà regolarmente i suoi senatori seduti a palazzo Madama anche in caso di vittoria del Sì al referendum


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