Allagamenti, strade dissestate, rifiuti mai raccolti. L'immensa zona industriale di Catania - 18 chilometri quadrati - vive da anni una grave crisi gestionale, con competenze divise tra più enti. Per risolverla la Regione Sicilia ha creato un ente unico, l'Irsap, in sostituzione delle vecchie Asi. Ma agli imprenditori questo sembra non bastare. «Ci vuole un unico riferimento per tutto e tempi certi», spiega Marco Cavalieri, membro del Tavolo per le imprese. Per risolvere i problemi serve «agire dal basso, facendo rete tra gli imprenditori». Guarda le foto
Zona industriale, una strategia per il rilancio Tavolo per le imprese: «Fare rete, dal basso»
Un’immensa area di diciotto chilometri quadrati, cinquanta chilometri di strade malridotte, centoventi chilometri di acquedotti che servono 492 aziende, dove lavorano almeno diecimila persone. Un tempo motore della Milano del sud, la zona industriale di Pantano d’Arci è ancora oggi un punto centrale nell’economia catanese. Ma la crisi dell’area, aggravata dai problemi di ogni giorno, va ormai avanti da anni. Strade dissestate, raccolta dei rifiuti a rilento e i frequenti allagamenti tipici della zona fanno da sfondo a un ambiente desolato fatto di capannoni vuoti o addirittura cadenti.
Un nodo da sciogliere per il nuovo sindaco di Catania Enzo Bianco, che per risolvere i problemi della zona propone «ununica autorità che sia di pieno supporto alle aziende intenzionate a investire, per evitare lo scaricabarile tra Regione, Provincia, e Comune». L’area è stata gestita per anni dalla Regione siciliana tramite il fallimentare consorzio Asi, posto in liquidazione e da rimpiazzare con un ente regionale unico, lIrsap – Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive – che avrà il compito di fornire una pianificazione industriale e le infrastrutture (anche informatiche) per lo svolgimento delle attività aziendali. Ma per chi vive l’area industriale ogni giorno la creazione di un nuovo ente sembra non bastare. Ne sono un esempio gli imprenditori che fanno parte del Tavolo per le imprese.
«I problemi dell’area sono noti a tutti e facilmente documentabili: pericolo di allagamento, spazzatura, strade dissestate. Ma la colpa non è solo degli enti che dovrebbero occuparsi dell’area, ma anche degli imprenditori», spiega Marco Cavalieri, membro dell’associazione di imprenditori. Architetto, si occupa da qualche anno di «parlare con gli imprenditori, studiarne i problemi e suggerire soluzioni, creando connessioni tra le aziende». Un mestiere nuovo per Catania, che chiama mediatore di rete, il cui fine è quello di far stipulare dei contratti di collaborazione tra aziende che operano negli stessi luoghi. E proprio rete sembra la parola chiave per il futuro delle imprese di Pantano d’Arci. «L’opinione condivisa dai membri de Il Tavolo è che alla base ci sia una mancanza di chiarezza su quale sia l’ente che deve occuparsi dei problemi. Non è chiaro infatti, se sia l’Irsap, il Comune, la provincia. Ma le richieste di intervento sono spesso singole, e gli imprenditori non si conoscono tra loro. Bisogna creare un contratto di rete tra le aziende partendo dal basso», spiega.
Cavalieri non nasconde che, alla base dell’idea della rete dal basso, ci sia una delusione di fondo sulla gestione dei problemi delle aziende da parte delle associazioni di categoria. «Associazioni come Confindustria e Confcommercio esistono sempre, ma i risultati li vediamo tutti: non sono sul territorio, non conoscono gli imprenditori e i loro problemi. L’obiettivo non è solo avere l’acqua o la raccolta rifiuti, perché in base alla zona ognuno ha la sua priorità. Noi chiediamo invece agli enti preposti di darci un unico riferimento per tutto e tempi certi». Un’operazione che Cavalieri definisce «semplice», come il concetto che sta alla base di un contratto di rete: l’unione fa la forza. «Riusciremo a ottenere qualcosa solo se ci uniremo in tanti. Ogni singolo deve capire che ha un potere contrattuale, perché cinquanta richieste separate non sono la stessa cosa. Ci vuole una reazione dalle piccole aziende, perché la zona industriale non è solo la ST», conclude.