Per la prima volta all'interno del popolare quartiere palermitano viene contestato il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Una donna teneva i libri contabili, mentre i singoli spacciatori effettuavano turni per garantire copertura 24 ore su 24. Guarda il video
Zen 2, colpo ai vertici dello spaccio: 24 arresti «Non è emersa connessione con Cosa nostra»
«Siete riusciti a debellare il padiglione di via Pensabene». Suonano come un complimento le parole di una delle 24 persone finite in manette questa mattina nel blitz dei carabinieri allo Zen 2. Un’operazione che ha disarticolato la più grande associazione criminale votata allo spaccio di stupefacenti. Si tratta della prima volta che nel quartiere popolare viene contestato questo reato, ma soprattutto si tratta della prima volta in cui non sono state in alcun modo trovate connessioni tra gli arrestati e Cosa nostra. Ai 24, infatti, non è contestata l’aggravante dell’associazione mafiosa. «Non è emerso – spiegano i carabinieri del comando provinciale di Palermo – nessun collegamento né per l’approvvigionamento della droga, né per quanto riguarda la richiesta di autorizzazioni per l’attività di spaccio».
Il padiglione di via Pensabene era la roccaforte dell’organizzazione, la più attiva di tutto lo Zen, trasformato in un vero e proprio mercato a cielo aperto: una regia orchestrava l’attività dei singoli spacciatori, scandita da una metodica alternanza di turni 24 ore su 24. Ad ogni cambio turno, inoltre, veniva rilevato un altrettanto rituale passaggio di consegne, con il conteggio e l’eventuale ripartizione delle dosi avanzate e del denaro ricavato, tra gli spacciatori uscenti e subentranti. L’unità all’interno del gruppo era cementificata dai rapporti di parentela tra i reggenti: una sorta di triumvirato composto, secondo quanto emerso dalle indagini, da Antonino Mazza, Massimiliano Zarcone e Salvatore Bonura. Sarebbero stati loro il vertice della piramide, di cui faceva parte anche Elena Billeci, moglie di Zarcone e vera e propria contabile dell’organizzazione. Sarebbe stata lei ad annotare in alcuni quaderni le rendite giornaliere di ogni spacciatore e le quantità vendute. Un gradino più sotto, poi, ci sarebbero stati Salvatore Catanzaro e Paolo Puleo, considerati dei «leader di medio livello», il punto di contatto tra i capi e la manovalanza. E proprio la vicinanza, anche fisica, tra i soggetti, residenti tutti all’interno del perimetro della piazza dello spaccio, consentiva a pusher e capi di poter fare a meno dei telefoni per comunicare, rendendo più complicate le indagini, scattate dopo l’arresto di alcuni semplici spacciatori del quartiere.
Una manovalanza quasi inconsapevole del reato che stava commettendo, «Per loro, tutti disoccupati – raccontano ancora i carabinieri – si trattava di un lavoro regolare, come se non ci fosse la consapevolezza di quanto si stesse facendo, non c’era la percezione dell’illecito». Per eludere i controlli, il gruppo si avvaleva di vedette che verificavano, anche con l’utilizzo di un binocolo, la presenza di forze dell’ordine o di eventuali telecamere. Un pusher guadagnava tra 50 e 80 euro al giorno, l’hashish era venduto in stecchette da cinque e dieci euro, la cocaina in piccolissime dosi, mentre la marijuana in bustine da dieci e quindici euro. Delle 24 persone finite in manette 19 sono in carcere e cinque ai domiciliari. Le misure restrittive sono state emesse dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Le indagini, avviate dai militari dell’Arma, sono state coordinate dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Teresa Principato, dai sostituti Siro De Flammineis e Annamaria Picozzi, in collaborazione con sostituti Bruno Brucoli e Silvia Benetti.