Un’azione paramilitare in pieno giorno, con le vittime designate che sono state inseguite, armi in pugno, e raggiunte da proiettili alla schiena. C’è molto di più di una semplice sparatoria tra le pieghe dell’indagine sull’agguato subito da Giuseppe Colombo e dai figli Antonio e Fabrizio, lo scorso 23 marzo per le vie del quartiere Zen 2 a Palermo. A rivelarlo sono gli investigatori della questura, che stamattina hanno stretto le manette ai polsi di altri quattro componenti del commando che ha fatto fuoco.
Una platealità che prende i connotati dell’azione dimostrativa non solo nei confronti della famiglia avversa, ma di tutto il quartiere. Un’azione svolta con estrema fiducia nei confronti dell’omertà della gente della zona e degli stessi Colombo, le cui bocche sono state cucite di fronte alle domande degli inquirenti. «Abbiamo avuto anche altri fatti cruenti in quello stesso quartiere – dice Rodolfo Ruperti, capo della squadra mobile palermitana – ma le azioni precedenti non avevano avuto questo impatto così devastante. Siamo di fronte a un segnale di forza non soltanto nei confronti dei Colombo, ma indirizzato all’intero quartiere e alle forze dell’ordine. Il concetto di gruppo paramilitare, infatti, che si organizza non solo per uccidere i Colombo, ma che va a rischiare, in pieno giorno, di causare danni anche ad altre persone, ha la valenza di dimostrare la vera forza militare dei Maranzano e di altri».
I primi a finire in carcere erano stati i fratelli Litterio e Pietro Maranzano, raggiunti stamattina da Giovanni Cefali (62 anni), Nicolò Cefali (24 anni), Vincenzo Maranzano (49 anni) e Attanasio Fava (37 anni). L’agguato è stato il culmine di un’accesa discussione avuta la mattina precedente tra i Maranzano e i Colombo. Alla base ci sarebbero stati motivi piuttosto futili, ma capaci di ridestare vecchi rancori: una pacca data da uno dei Colombo a Cefali in un bar, ripresa dalle telecamere di sicurezza. Dopo la sparatoria, il commando si è dileguato senza riuscire a ripulire a dovere la scena dell’agguato, dove sono stati ritrovati una decina tra bossoli e proiettili esplosi. A sparare, in via Patti, sarebbero state almeno tre pistole, «ma le armi potevano essere anche di più – dice ancora Ruperti – Purtroppo le armi allo Zen ci sono. Stanotte, per eseguire il fermo abbiamo letteralmente circondato il quartiere».
Il blitz di oggi è stato «una vera e propria operazione antimafia – continua Ruperti – perché andiamo a colpire quel sottobosco che, attraverso varie effervescenze, alimenta le famiglie dello Zen. I Maranzano sono noti».Il muro di omertà su cui facevano affidamento i protagonisti dell’azione criminale, tuttavia, non ha retto come sperato: «C‘è stata anche la testimonianza di una donna coraggiosa che ci ha fornito indicazioni preziose. Le prime dichiarazioni sono state arricchite anche da un’altra testimonianza che ci ha consentito di eseguire il fermo emesso dalla procura». La donna in questione, adesso, si trova sotto protezione.
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