Viva l’Italia unita: filastrocca dei giorni odierni di Antonio Giordano

In questo scorcio di anno celebrativo del 150º anniversario della cosiddetta Unità nazionale e, certamente, sull’emozione suscitata dallo spettacolo Rapsodia siciliana di Lino Piscopo (che include, tra l’altro, l’ironica composizione di Massimo Melodia dal titolo ”La ballata dei Mille”), andato in scena il 5 e il 6 novembre scorso al Teatro Savio e, ancora più, dalla decisione adottata dal “cavaliere del lavoro”, amministratore delegato della FIAT e di tante aziende collegate, nuovo “piemontese”, dottor Sergio Marchionne di chiudere l’indotto di Termini Imerese, il professore Antonio Giordano (scrittore e drammaturgo, preside nei Licei in quiescenza e “Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per la Scuola, la Cultura e l’Arte), figura molto nota a Palermo, certamente maestro di fonetica e dizione che ha avuto la fortuna e il piacere di avere a Maestri: Orazio Costa Giovangigli, “il povero” Cesare Polacco, l’intraprendente Enrico Maria Salerno, il “modesto” Vincenzo Tieri (era l’epoca della fine della guerra, nella quale era vivo in tutti i palermitani il senso di riscatto e di fierezza che li ha sempre qualificati e in una cornice di fame e di “giacche rivoltate” funzionava, al Piccolo Teatro Città di Palermo di Donna Teresa Landolfi Di Blasi, una “scuola di teatro”), “avviatore” di tanti giovani che con la sua scuola, realizzata a casa propria con tanto entusiasmo, professionalità e abnegazione e, in particolare, senza chiedere un centesimo di euro a nessuno (cosa alquanto rara in questo nostro panorama palermitano, nel quale molti si fregiano del titolo di “grandi maestri” …), autore – tra l’altro – dell’ultimo Attori Atoricchi e Cannavazzi, manuale di didattica dell’attore con appendice sulla dizione (Pietro Vittorietti Edizioni, Palermo, 2011) nel quale, a ben diritto, sostiene: “Oggi tanti giovani di ora e di allora fanno gli attori, grazie alle basi che ho dato loro, non solo dal punto di vista tecnico ma anche comportamentale, umano, squisitamente artistico”, ha composto la seguente filastrocca, Viva l’Italia Unita!, che ci piace proporvi:

V. Emanuele II Re d'Italia

“Siamo senza un quattrino!” / singhiozza Re Vittorio. / Anche per lo spuntino / ei mangia al refettorio.
Si sente un gran vociare. / Giù sono i creditori. / “Maestà, devi pagare / O ti facciamo fuori!”.
Vittorio Re è tremante, / poi, pensa che ti penso, / s’illumina e all’istante / chiama Camillo Benso.
“Puoi far qualcosa? Dillo! / Debbo trovar denaro. / Ti prego, don Camillo, / per quanto hai di più caro!”
Gli occhiali aggiusta il Conte / ed a pensar si mette. / Si batte poi la fronte: / “Pagar vo’ le bollette /
trovar la soluzione, / se con cervelli caldi / si fa una spedizione”. /
E avvisa Garibaldi. / Con il cipiglio fiero, / lo sguardo che dardeggia, / Peppe sul suo destriero / presentasi alla reggia.
Col cappellino tondo / e sulle spalle il poncho / torna dall’altro mondo / malvolentier, col broncio.
Sbarcar deve in Sicilia / e far dovrà faville, / compiendo mirabilia / portandosene mille. /
A Quarto va Peppino già pronto per salpare. /
Con Florio e Rubattino / potràssi ubriacare. / Sbarca poscia a Marsala / saltando come un grillo, / ma, già fin dalla cala, / fa rutti e appare brillo. /
Promette a tutti gloria, / ricchezze e libertà / e, a premio di vittoria, / avran le proprietà. / Conquista, uccide e preda / il prode e gran Peppino. /
Poi le rivolte seda: / fa fesso il contadino. / E brucia dei Borboni / tutte le insegne bianche.
Poi, senza mezzi toni, / svaligia pur le banche. / Un popolo fucila, / punendo chi vuol terra. /
Poi da Messina fila / ed il bottino afferra. / Calabria e poi Campania / svaligia in terra e coste, / fa i conti suoi con smania / ma li fa senza l’oste. /
Battuto il monte e il piano / ei vuole alzar le vele. / Ma incontra giù a Teano / Vittorio Emanuele. /
“Oro feci a palate / o sacra Maestà”. / “Non fare più cazzate / e i soldi dammi qua”. / “Feci l’Italia intera / e Voi prendete tutto?” /
“Ma vattene a Caprera / e pagami anzitutto!” / Vittorio alfin s’appaga. / La grana presto afferra. / I debiti si paga / con Francia ed Inghilterra. /
Svuotate son le casse / del ricco Meridione. / Gli han messo tante tasse / e l’han fatto minchione. /
Otto anni sono assai / pei giovani soldati. / Sono italiani ormai / e a leva ahimé obbligati. /
Chi resta ha vita dura / e campa molto male. / Finì l’agricoltura / ma su c’è il capitale. / Ora che il Nord è ricco / i barbari fan festa. /
Il Sud cala a picco / e piange le sue gesta. / I barbari hanno vinto / ed han cambiato vita. /
I debiti hanno estinto. / Viva l’Italia unita! / Coi nostri soldi han fatto / le industrie tutte su. /
Il Nord è soddisfatto / e noi sempre più giù. / Che festi Garibaldi? / Sol lutti e tristi eventi. / E a tutti i tuoi ribaldi / si fanno i monumenti. /
Marchionne i soldi prese / e non li molla già. /Ma Termini Imerese / la lascia in povertà. / Ché Sergio se ne frega: / “Dalla Sicilia arretro”. /
La fabbrica ci nega / e ce la mette dietro. / “Il Sud è gente infame, / deve marcire a vita. / Che muoia pur di fame.
Viva l’Italia Unita!


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In questo scorcio di anno celebrativo del 150º anniversario della cosiddetta unità nazionale e, certamente, sull’emozione suscitata dallo spettacolo rapsodia siciliana di lino piscopo (che include, tra l’altro, l’ironica composizione di massimo melodia dal titolo ”la ballata dei mille”), andato in scena il 5 e il 6 novembre scorso al teatro savio e, ancora più, dalla decisione adottata dal “cavaliere del lavoro”, amministratore delegato della fiat e di tante aziende collegate, nuovo “piemontese”, dottor sergio marchionne di chiudere l’indotto di termini imerese, il professore antonio giordano (scrittore e drammaturgo, preside nei licei in quiescenza e “medaglia d’oro del presidente della repubblica per la scuola, la cultura e l’arte), figura molto nota a palermo, certamente maestro di fonetica e dizione che ha avuto la fortuna e il piacere di avere a maestri: orazio costa giovangigli, “il povero” cesare polacco, l’intraprendente enrico maria salerno, il “modesto” vincenzo tieri (era l’epoca della fine della guerra, nella quale era vivo in tutti i palermitani il senso di riscatto e di fierezza che li ha sempre qualificati e in una cornice di fame e di “giacche rivoltate” funzionava, al piccolo teatro città di palermo di donna teresa landolfi di blasi, una “scuola di teatro”), “avviatore” di tanti giovani che con la sua scuola, realizzata a casa propria con tanto entusiasmo, professionalità e abnegazione e, in particolare, senza chiedere un centesimo di euro a nessuno (cosa alquanto rara in questo nostro panorama palermitano, nel quale molti si fregiano del titolo di “grandi maestri”

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