Violenza sessuale, la storia di Carla tra pubblico e privato «Pensavo di aver trovato aiuto e invece è iniziato l’incubo»

Carla (nome di fantasia) pensava di avere sistemato la sua vita. Aveva trovato aiuto e lavoro, seppure informale, a casa di un’altra donna che avrebbe dovuto aiutarla a reintegrarsi nella società, dopo una condanna per avere contribuito alla rapina che portò all’omicidio della madre. Un raro caso in cui il sostegno pubblico sembrava funzionare: ad accoglierla era stata Maria Jose Vitale, allora impiegata – oggi capo area – dei Servizi sociali di Mascalucia che avevano in carico il caso di Carla. Che, però, in quella casa racconta invece di avere vissuto tre anni di violenze sessuali da Antonio Pezza, marito di Vitale. Una storia in cui si intersecano anche conflitti di interesse documentati dal tribunale di minori e dovuti al ruolo che la stessa funzionaria comunale ricopriva anche nella pratica per l’affidamento del figlio di Carla. Il tutto adesso è finito all’interno di un processo dopo l’arresto in flagranza di Pezza, difeso dall’avvocato Giuseppe Lipera, con Vitale che sarà chiamata a testimoniare.

«Mi sento più forte perché ho cominciato a lottare, ma non è stato facile», commenta Carla, che oggi ha 46 anni e un figlio di 15. Un passato complicato alle spalle che vede la morte della madre per mano dell’ex compagno: una rapina in famiglia andata male, a cui si è aggiunta l’accusa di concorso per Carla che aveva fornito all’uomo le chiavi di casa dell’anziana. Scontata la pena, la donna si rivolge ai Servizi sociali di Mascalucia per trovare un lavoro. È lì che conosce Jose Maria Vitale, allora semplice impiegata, incaricata della gestione di Carla. Ma la risposta che la donna riceve non è quella che si aspettava. «Mi dice che, con la mia situazione, non avrebbero trovato mai niente per me – racconta a MeridioNews con riferimento alla dirigente – e così mi propone di andare a lavorare a casa sua». Circostanza che nessuna delle parti nega, ma sulla quale non è chiaro se ci fosse un regolare contratto. E i rapporti tra le due non finiscono qui. Vitale era anche responsabile della procedura amministrativa di affidamento del figlio di Carla, incarico poi rimosso dal Tribunale dei minori all’avvio del procedimento penale che vede imputato il marito della dirigente. «Mi diceva che era intenzionata a prendere lei in affidamento il bambino – racconta Carla – E io, da madre, mi sono sentita morire». 

Ma pensa di non avere alternative e così lavora in casa Vitale-Pezza per tre anni. Lì conosce anche il marito di Vitale e sarebbero cominciate le violenze e gli appostamenti, anche a casa di Carla, dove l’uomo si sarebbe spesso presentato. Fino al 2016, quando Carla si rivolge ai carabinieri di Mascalucia raccontando che Pezza l’avrebbe anche seguita. «Ero spaventata – dice adesso Carla – Per tre anni non ho parlato perché non capivo neanche bene cosa stesse succedendo e in ogni caso avevo bisogno di lavorare». Il mese dopo denuncia di nuovo, due volte. «La signora ci consegna un oggetto di forma cilindrica che sarebbe stato usato durante uno degli atti di violenza sessuale a casa di Pezza», racconta in udienza uno dei carabinieri che ha arrestato l’uomo. Carla torna ancora in caserma per denunciare due episodi di appostamenti sotto casa sua da parte di Pezza: uno di questi confermato da un’amica e un altro documentato con una foto.

All’ennesima chiamata dell’uomo che annuncia il suo arrivo, Carla avverte i carabinieri e scatta l’operazione: in strada viene piazzata un’auto civetta, mentre una militare si nasconde in casa con lei. E, a processo, racconta: «Pochi minuti dopo l’arrivo di Pezza, ho sentito gridare sempre più forte e sono intervenuta. Li ho visti sul divano uno sopra l’altro, la signora era nuda solo nella parte inferiore e Pezza aveva i pantaloni abbassati e, senza mutande, si avventava contro la signora che si dimenava tentando di sottrarsi alla pressione». Il racconto viene interrotto dal giudice, che chiede informazioni sullo stato d’animo di Carla. «Era abbastanza agitata e impaurita – conclude la militare – Così sono intervenuta presentandomi come carabiniere e ho chiamato i miei colleghi». Per procedere all’arresto in flagranza di Antonio Pezza.

La vicenda, intanto, si sposta dal piano privato a quello pubblico quando Carla – di nuovo senza lavoro – si rivolge al centro antiviolenza Thamaia di Catania e prova ad accedere al cosiddetto reddito di libertà, il contributo economico destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori e seguite dai centri antiviolenza, per contribuire a sostenerne l’autonomia. Richiesta da presentare ancora una volta ai Servizi sociali di Mascalucia, in cui continua a lavorare la moglie del suo presunto violentatore, Maria Jose Vitale, che nel frattempo viene chiamata a dirigere l’ufficio. «Mi dicevano che fino a quando non si fosse risolta la situazione con Vitale, sarebbe stato tutto molto più complicato», racconta Carla. Dopo l’intervento dell’associazione, la situazione si sblocca e il Comune invia i moduli all’Inps. Un capitolo chiuso in attesa della definizione del processo.


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