Don Guglielmo Bivona chiarisce i motivi della benedizione dell'altare allestito davanti l'abitazione del capomafia in carcere Ciro Badami: «Ero assorto nel momento di preghiera e ho del tutto trascurato che lì potesse abitare la famiglia di un soggetto noto al malaffare»
Villafrati, la processione e la sosta davanti casa del boss Il prete: «Strumentalizzazioni, io ho agito in buona fede»
«In seguito a vaste e infondate polemiche, scaturite da una falsa e tendenziosa interpretazione dei fatti relativi alla processione del 30 giugno 2019, mi fa dovere ricostruire rettamente gli eventi e le mie intenzioni». Inizia così la nota chiarificatrice scritta da don Gugliemo Bivona, per fare luce sulla notizia circolata nei giorni scorsi riguardo a una sosta del Corpus Domini davanti alla casa di un capomafia in carcere, Ciro Badami, uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano. Nell’abitazione, al passaggio, sarebbe stata fatta trovare la porta d’ingresso aperta e un piccolo altare allestito. «Mi si accusa che durante la processione del Corpus Domini, il cui itinerario è stato approvato dalla Curia, dalla questura, nonché dal sindaco e dal comandante della stazione dei carabinieri, ho impartito la benedizione da un altare, sito in prossimità dell’abitazione della famiglia di un soggetto ritenuto appartenente ad ambienti mafiosi».
«Tengo a precisare – spiega il prete – che per tradizione secolare gli altari vengono preparati dai fedeli che vivono nei pressi dell’itinerario della processione e il loro allestimento è lasciato alla loro libera volontà, io non incido, né potrei in alcun modo incidere, sulla scelta di collocare in un luogo piuttosto che in un altro, pertanto non ho deciso io, in alcun modo, che lo stesso fosse posizionato presso quella abitazione. Inoltre, alcuni si realizzano tradizionalmente in alcuni luoghi da sempre. Quindi la realizzazione dell’altare prossimo all’abitazione del soggetto suddetto non è stata fatta di proposito». Don Gugliemo Bivona sottolinea, infatti, di aver tenuto lo stesso comportamento davanti a più di venti altri altari incontrati lungo l’itinerario della stessa processione. «Inoltre, non corrisponde al vero e smentisco espressamente la circostanza per cui mi sarei intrattenuto per salutare la moglie del mafioso», scrive, alludendo a una possibile strumentalizzazione del suo comportamento.
«Essendo assorto nel momento di preghiera che si stava vivendo, vedevo dinnanzi a me solo i fedeli e ho del tutto trascurato la circostanza per cui presso quell’abitazione potesse abitare la famiglia di un soggetto noto al malaffare. Lungi dal sottoscritto il volere trasgredire le norme impartite dal vescovo e dalle competenti autorità e soprattutto di voler rivolgere una particolare attenzione ad un soggetto ritenuto mafioso o a suoi familiari, solo per rispetto umano o, peggio ancora per soggezione – precisa ancore il prete -. Mi sono sempre battuto per la giustizia e la legalità e continuerò a farlo, partecipando alle varie iniziative di volta in volta previste e promuovendole. Mi sono sempre attenuto alle regole ed ai principi di onestà e correttezza, nei quali credo fermamente». Chiarisce anche di essere solito, durante queste occasioni, benedire anziani e malati in attesa del passaggio della processione davanti la porta di casa.
«Credo di avere poco da rimproverarmi davanti a Dio perché ho agito in assoluta buona fede, come ho sempre fatto nei quarant’anni nei quali ho dedicato il mio impegno esclusivamente alla cura delle anime e, dove la mia condotta abbia però turbato qualcuno, me ne dolgo profondamente, ma non era certamente questa la mia intenzione». L’episodio, intanto, ripreso dagli organi di stampa, ha sollevato non poche polemiche. Tanto da costringere anche l’Arcidiocesi di Palermo a prendere posizione. «Prendiamo atto delle spiegazioni fornite dal parroco e della sua dichiarata ed esplicita estraneità a qualsiasi forma di compiacimento o vicinanza a persone appartenenti ad organizzazioni mafiose. Ribadiamo con forza, nel contempo, la condanna da parte della chiesa di Palermo e del suo arcivescovo di ogni forma di strumentalizzazione di qualunque tipo di manifestazione religiosa o di pietà popolare messa in atto da chicchessia», si precisa in una nota.
Ricordando poi le parole pronunciate da Papa Francesco durante la visita a Palermo il 15 settembre scorso, in occasione del 25esimo anniversario dell’omicidio di don Pino Puglisi: «Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore… Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo, cari fratelli e sorelle».