Viale Moncada 17, alloggi consegnati Gli inquilini: «E’ la fine di un incubo»

«Siamo cinque in famiglia, dopo dodici anni non ci speravamo più in un alloggio». Insieme al signor Giovanni e alla moglie, sono un centinaio le persone in attesa della consegna di 32 alloggi popolari in viale Moncada 17. Sono le nove e, dopo il rinvio di giovedì otto marzo, oggi è la volta buona: gli aventi diritto nella lista per l’emergenza casa del comune di Catania, la cosiddetta «lista sfrattati», avranno le chiavi di casa. L’attesa è però lunga e, nonostante il freddo, la si inganna facendo conversazione. «A me piacerebbe la casa all’ultimo piano, c’è un bel panorama», commenta una donna «A me non m’interessa, basta che sono in buono stato. A proposito, piacere», risponde un’altra.

Risate e strette di mano: tra la folla c’è chi si guarda attorno augurandosi di avere per vicini «delle brave persone», ma sono davvero in pochi a risparmiare i sorrisi. «Ringraziando il Signore abbiamo un tetto sulla testa», commenta sorridendo Mario, cinquantanove anni, disoccupato da quasi 10. Mario, dopo le difficoltà economiche e uno sfratto, denominatore comune tra gli assegnatari, vede in questa casa la fine di un incubo inaspettato. «Ho perso il lavoro per un problema al cuore. Stavamo in viale Africa, in una bella casa, e 500 euro di affitto sono diventati troppi». Gli ultimi anni li ha passati in casa della suocera, con i tre figli che crescevano. La più grande, ora universitaria, ha venticinque anni e a detta della madre «si vergognava a venire ad abitare qui, e anche io, dopo una vita di sacrifici, non accetto l’idea di stare in una casa popolare. Ma non ci lamentiamo, questa casa è una grazia del Signore».
Vincenzo di anni invece ne ha ventisette, a sua dire è il più giovane degli assegnatari. Ha 3 figli e quando si è sposato era appena maggiorenne. «Abitavamo in via Auteri agli Angeli Custodi, e se dico che eravamo in mezzo alla spazzatura dico poco, ogni topo era grosso così» racconta Vincenzo.

Ma ognuno ha da raccontare la propria storia di difficoltà. «Noi quando abbiamo fatto domanda venticinque anni fa avevamo i bambini piccoli, mentre oggi mia figlia è vedova e con due figli» racconta un uomo, che sta leggermente in disparte dal gruppo. E’ accompagnato dalla moglie che aggiunge «insieme a mio figlio di diciotto anni siamo sempre sei in famiglia, come allora». Il signor Paolo e la moglie si lamentano invece della distanza, non si aspettavano «di dover perdere tre quarti d’ora per arrivare a Librino con l’autobus». Sorride invece la signora Maria: «Siamo stati in attesa solo due anni, ma avendo un figlio invalido siamo andati più su nella graduatoria. Abitavamo in via Plebiscito, a San Cristoforo, quando il padrone di casa ci ha sfrattati».

«Adesso chiameremo quattro per volta, avvicinatevi». E’ passata quasi un’ora e mezza, e all’annuncio dei vigili urbani le persone si accalcano all’ingresso. Dopo pochi minuti spunta dal balcone la prima donna. «Signora, com’è?» urlano da sotto gli assegnatari in attesa. «E’ piccola, ma proprio piccolissima questa casa. Però è bellissima».


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