L'iniziativa quest'anno ha l'obiettivo di sostenere il recupero delle coltivazioni del passato. «La moderna agricoltura li stava per cancellare, anche perché non godono di contributi. Diffondiamoli, ma non ne facciamo un nuovo brand commerciale», spiega l'agricoltore Emanuele Feltri
Viaggio a dorso di mulo per riscoprire grani antichi «Scelte che vanno verso la sovranità alimentare»
A bordo dei muli, attraverso sentieri, trazzere e ippovie. Per portare nel cuore della Sicilia più antica un messaggio ancora una volta legato alla terra e destinato a contadini, allevatori e popolazione di campagna e montagna. La quinta edizione del viaggio di EcoMulo quest’anno si lega alla forte crescita della coltivazione dei grani antichi di Sicilia. Le ultime stime indicano il ritorno della biodiversità e del recupero delle varietà di frumento locale in dimensioni comprese tra 500 e tremila ettari di campi coltivati.
Ecomulo torna a partire dall’11 maggio con due itinerari, 12 giorni di marcia, sei avventurieri tra designer, fotografi, imprenditori agricoli, maniscalchi e vigili urbani. Da una parte le Madonie, con partenza dal paese di Motta D’Affermo e arrivo a Palazzo Adrano. Dall’altra il versante orientale dalla Sicilia, partenza e ritorno fissati a Capizzi con tappe ad Agira, Ramacca, Palagonia, Vizzini, Caltagirone. Un doppio viaggio che, nella descrizione che si trova sul sito omonimo, parte dall’avversione «contro le direttive degli organismi comunitari Ue che impongono, in larga parte, l’utilizzo dei grani certificati delle multinazionali come la Monsanto». Una coltivazione che obbliga «anche all’utilizzo di speciali fitofarmaci che aggrediscono l’ecosistema della terra di Sicilia».
Per l’ideatore di Ecomulo, Federico Bruno, padre siculo e mamma english, «il ritorno del frumento antico diventa allora un atto di resistenza. Io sono cresciuto in fattoria – racconta l’imprenditore agricolo – e, pur essendo di sinistra, devo dare ragione a quello lì (Mussolini ndr) quando sosteneva che la Sicilia è il granaio d’Italia». Per la prima volta il viaggio non comincia da Portella della Ginestra e dalla data simbolica del primo maggio, che rendeva omaggio a quella che è passata alla storia come la prima strage di Stato. Il motivo, secondo Bruno, è da ricercare nella distanza abissale che ormai separa i partiti di sinistra e di centrosinistra dalle classi popolari. «A Portella il primo maggio non permettono neanche ai contadini di esprimersi – si infervora l’imprenditore -. Sindacati e partiti sono lontani anni luce dai bisogni di pastori e zappatori. L’ultimo caso è il voto del Pd sull’olio tunisino. In questo modo la sinistra piscia sulla propria storia».
La parte orientale del viaggio è già iniziata. I protagonisti sono ovviamente i muli, che si chiamano Peppe e le sorelle Kessler, e gli umani sul loro dorso: Enrico Cerniglia, giovane maniscalco di Monreale, e Giacomo Mancuso Fuoco, vigile urbano ed esperto di antiche tradizioni contadine. «Il nostro è un viaggio ad anello – spiega Enrico -. Per me è il secondo anno di Ecomulo. Questa volta è più per svago».
Chi invece quest’anno ha dovuto rinunciare è l’imprenditore agricolo catanese Emanuele Feltri, che per questa edizione si limita al ruolo di testimonial di EcoMulo. E che guarda con una sorta di entusiasmo critico al ritorno dei grani antichi siciliani. «Belli, alti, rustici. Sono il risultato di millenni di adattamento alle nostre terre – osserva il giovane agricoltore -. La moderna agricoltura li stava per cancellare. Non sono presenti negli elenchi ufficiali e non godono di contributi. Ricerchiamoli, coltiviamoli, moltiplichiamoli e diffondiamoli. I percorsi verso la sovranità alimentare passano da queste scelte, ma che siano consapevoli e coerenti».
Fin qui appunto gli aspetti positivi. Ma Emanuele, che è anche un attivista politico, guarda a un orizzonte più lontano in merito a quella che in fondo potrebbe essere, grossolanamente parlando, una moda agricola. «Il grano, la farina, il pane sono un simbolo di ricchezza popolare. Ed è al popolo, ai piccoli agricoltori – aggiunge – che spetta la riappropriazione di tale ricchezza. La tendenza purtroppo ad oggi è quella di utilizzare le eccellenze per produrre un cibo di nicchia, costoso e per pochi eletti che possono permetterselo. Un euro al chilo per le sementi e cinque euro al chilo per la farina sono prezzi che fanno il gioco di chi sta creando un nuovo brand commerciale a scapito del diritto di tutti ad avere un cibo sano a prezzi popolari. Riflettiamo e informiamoci, prima di fare il gioco di chi una zappa in mano non l’ha mai presa».