Un materasso. Alcune paia di scarpe. Vari sacchi della spazzatura. C’è una ragazza che aspetta un bambino. Intanto fa il bucato in una bacinella. Gli uomini, tre o quattro, chiacchierano sotto un albero. Una scena familiare, che si svolge ogni giorno in un giardinetto pubblico in pieno centro. Un accampamento abusivo in uno dei pochi spazi verdi della zona, in via Ingegnere accanto al civico tre, traversa alta della centrale via Etnea. «Ci siamo rivolti alla Municipalità, ai servizi sociali del Comune e alla Questura, ma nessuno ha fatto niente. Cosa dobbiamo fare ancora per risolvere questa situazione?», chiede un’abitante del palazzo il cui interno dà proprio sul giardinetto.
Cambiano gli occupanti, ma la villetta è ormai proprietà privata da almeno tre anni. «In inverno di solito sono pochi, cinque o sei – continua la residente – Ma d’estate vivono qui anche undici, dodici persone». Al momento gli inquilini sono due o tre nordafricani e tre cittadini romeni, tra cui la ragazza incinta. Gli stessi, questi ultimi, che chiedono l’elemosina poco più in là: al semaforo all’angolo tra via Ingegnere e via Passo Gravina. «Devo essere onesta, non abbiamo mai avuto problemi personali con loro – ammette – Ma, quando bevono, spesso stanno male e litigano violentemente tra di loro. Più di una volta abbiamo chiamato l’ambulanza». A volte sono gli stessi occupanti a chiedere aiuto. Altre volte, invece, cercano di sfuggire alle auto della polizia chiamate dai vicini. «Le forze dell’ordine vengono, però poi non fanno niente», lamentano i cittadini. «Anche noi non possiamo fare altro che rivolgerci alla Questura – spiega Salvatore Rapisarda, presidente della terza municipalità Borgo-Sanzio – E’ una questione di ordine pubblico, ma spesso i poliziotti allargano le braccia». La prassi prevederebbe uno sgombero per occupazione di suolo pubblico. «Ma tanto dopo due giorni sarebbero di nuovo lì – continua il presidente – Finché non fanno danni, non si può fare nulla».
Danni che, sottolineano ancora i residenti, non sono mai avvenuti. Il problema, per chi abita nel palazzo accanto al giardino occupato, è il degrado della zona. «Si spogliano, si lavano e fanno i loro bisogni all’aperto, davanti alle nostre finestre – racconta la condomina – D’estate il fetore è insopportabile». E con la bella stagione gli occupanti si organizzano: con tavolini, sempre all’aperto, «e persino un barbecue». Il bucato lo fanno con l’acqua della fontana, all’ingresso del giardinetto, stendendo su dei fili improvvisati. «Lo scorso anno avevano occupato anche l’ex casa del portiere del palazzo, che noi abbiamo fatto murare». Una stanzetta, ma soprattutto un bagno, in cui gli occupanti tenevano tutti i loro oggetti personali: dal bagnoschiuma al rasoio elettrico. Una piccola abitazione contigua allo spazio verde e collegata con l’interno dello stabile.
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«Noi abbiamo fatto più volte degli interventi di pulizia del giardino – continua Rapisarda – Ma spesso si rivelano inutili, perché viene subito sporcato di nuovo». Un destino toccato alla villetta già prima dell’occupazione. Nata come uno dei pochi spazi verdi della zona, con tanto di distributore di guanti monouso per i padroni di cani, è stata subito vandalizzata. Negli anni era diventata ricovero per i gatti randagi sfamati da alcuni residenti. Adesso risulta ancora non utilizzabile per quanti volessero fermarsi sulle panchine o passeggiare il cane, perché abitata. Dalla Questura non viene rilasciato nessun chiarimento. «Conosciamo la situazione ma qui non è mai arrivata nessuna segnalazione scritta dai cittadini – spiega Carmela Campione, della direzione Politiche sociali del Comune di Catania – E’ l’inizio della procedura. Dopo, noi la giriamo all’unità di strada della Caritas che si reca sul posto e ci fa sapere se ci sono esigenze specifiche, come la necessità di un ricovero in ospedale. Così si cerca di trovare una soluzione». Un rapporto con i volontari che in questo momento si svolge senza alcuna convenzione. «Conosciamo anche noi la questione e in passato abbiamo già parlato con gli occupanti – dice Roberta Rizzotti dell’unità di strada della Caritas – Prima però si trattava soprattutto di famiglie e avevamo un problema di spazio per ospitarli nelle nostre strutture. Li avevamo invitati a venire all’Help center per discutere meglio e cercare una sistemazione alternativa, ma non si sono mai presentati».
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