Pareti bianche, nude. Sedie. Ombra di tavolo. Tenda a strisce di plastica trasparente. Una stanza essenziale. Persone ed oggetti dentro la stanza, ed emozioni di parole, come dentro le poesie di Elisa Biagini. Dietro il tavolo del Centro Voltaire cè lei, poeta e traduttrice, insieme a Giuseppe Frazzetto, organizzatore del workshop Scrittura/Immagine svoltosi il 18 aprile per gli studenti e le studentesse dellAccademia di Belle Arti.
Una poesia immaginifica, istintiva e familiare quella della scrittrice fiorentina, che dopo una breve presentazione delle sue raccolte di poesie, comincia lincontro leggendo la lirica Lospite (tratta dalla sua raccolta pubblicata da Einaudi).
In essa percepiamo immediatamente come le sue parole seguano un profondo desiderio di espressione, un desiderio irrefrenabile che va oltre la volontà e i propositi della stessa Biagini: Ti traduco la vita, / attraverso il feng-shui, le ricette, / ti rincollo le corde vocali / ti accordo la voce che avevi / la lingua / che ti è scritta nel corpo.
Sono versi del quotidiano, della realtà reale, frutto di un percorso letterario che nasce, per ammissione della stessa autrice, dal dialogo con Emily Dickinson, Sylvia Plath, Anne Sexton.
La lezione di queste poetesse vive infatti nei suoi versi, che affrontano i temi della difficoltà o impossibilità della comunicazione, del senso del moderno, della relazione tra letteratura e vita, oggi.
Il linguaggio diventa così ossessione, è linguaggio che passa dal corpo, come compensazione della perdita di unità pre-edipica con laltro: Adesso vuoi che tocchi le fratture, / un alfabeto braille, / vuoi che le tocchi / dopo le lettere, le ricette e i punti.
La sua poesia è dunque rivoluzione, e non solo in senso metaforico, perché quello che linconscio di Elisa Biagini vede, il suo linguaggio poetico lo pratica, introducendo in questo modo unapertura sovversiva allinterno dellordine simbolico chiuso del sociale.
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