Un album più rock dopo la breve parentesi de "Il suicidio dei samurai" per la band bergamasca. Torna ad essere un trio e non più un quartetto
Verdena – Requiem
VERDENA REQUIEM (2007, Black Out / Universal)
TRACKLIST:
01 Marti In The Sky
02 Don Calisto
03 Non prendere lacme, Eugenio
04 Angie
05 Aha
06 Isacco Nucleare
07 Caños
08 Il Gulliver
09 Faro
10 Muori Delay
11 Trovami un modo semplice per uscirne
12 Opanopono
13 Il caos strisciante
14 Was?
15 Sotto prescrizione del Dott. Huxley
Te la sbattono dritta in faccia la nuova/vecchia realtà i Verdena, te lo spiattellano già in copertina che, dopo la – breve – parentesi de Il Suicidio Dei Samurai (2004), la band torna ad essere un trio e non più un quartetto. A farne le spese, ovviamente, il poli-strumentista Fidel Fogaroli, a dirla tutta mai pienamente integrato nei meccanismi (anche live) della band. Rigiri quindi la custodia di Requiem, quarto album in studio per la formazione bergamasca, dai unocchiata alla tracklist e, sorpresa, ben quindici titoli fanno capolino in un rosso sgargiante. Caspita, pensi, chissà cosa avranno tanto da dire i Verdena per arrivare ad incidere un album così lungo. Ma dopo un primo e rapido ascolto, larcano è subito svelato: ben quattro delle quindici tracce sono delle strumentali, lopener Marti In The Sky fa da intro, mentre le altre tre (Aha, Faro e Opanopono) fungono da intermezzi rumoristici. Ed il novero dei pezzi da esaminare scende così ad undici, numero decisamente più congruo per un album rock.
Un album più rock per la precisione. Sì, perché, dopo due lavori come Solo Un Grande Sasso (2001) ed Il Suicidio Dei Samurai, in cui pezzi dallelevato minutaggio erano inzuppati di psichedelia lisergica, in Requiem (a parte due tracce, Il Gulliver e la conclusiva Sotto Prescrizione Del Dott. Huxley) i Verdena tornano un po alle origini dellalbum omonimo, inserendo però qua e là una serie di elementi che rendono il sound più corposo e maturo di quello giovanile ed acerbo del disco desordio. E così, accanto a brani come la ledzeppeliniana Muori Delay (non a caso primo singolo estratto) o Isacco Nucleare, in cui batteria e chitarra pagano pegno ai maestri Melvins, scorgiamo anche episodi inediti per la band: vedi Caños, attraversata da chitarre mariachi che danno il meglio di loro nel gran finale del brano; vedi Trovami Un Modo Semplice Per Uscirne, soffice, cantautorale come mai erano stati i Verdena, chitarra e voce ed una batteria appena accennata a fare da supporto; vedi, infine, il Mellotron di Angie o il piano Rhodes di Was?. Ci pensano quindi Don Calisto, Non Prendere LAcme, Eugenio ed Il Caos Strisciante a riportare il tutto su sentieri già battuti. Venendo poi alle personali prestazioni dei tre, non può non notarsi come il basso di Roberta Sammarelli sia puntuale come sempre, mancando però adesso la sua presenza ai controcori, costante questa degli album passati; Luca Ferrari picchia sulle pelli alla sua maniera, e sembra avere imparato finalmente quando lasciare spazio alla morbidezza di una sei corde. Alberto Ferrari, invece, fa uno sforzo immane nello studiare e ricercare per le lirycs parole che facciano a pugni le une con le altre, impastandole e mordicchiandole con la voce fino a renderle per la maggior parte incomprensibili alludito.
Ed insieme ai testi spiccano anche i titoli dei vari brani, i quali appaiono eccessivamente studiati a tavolino, forzati ed in definitiva poco convincenti; unica pecca, questa, per un album ed una band che ad ogni uscita discografica si dimostra sempre e comunque alla ricerca di nuove soluzioni. Intento già di per se lodevole.