L’Europa c’è, ma parla con accento catanese. La notizia dell’aggiudicazione del concorso di idee per la realizzazione di un progetto sul waterfront di Catania è stata diffusa ieri dall’ufficio stampa del Comune. «Un bando che abbiamo riaperto per consentire la massima partecipazione di progettisti, anche di rango internazionale, a uno dei piani di sviluppo fondamentali per la nostra Catania». L’internazionalità, in effetti, a guardare i tre vincitori sembra esserci: un raggruppamento di professionisti che si muovono tra Milano, San Giovanni La Punta e Mantova; una compagine di architetti da Aci Castello; e uno studio portoghese, con sede a Lisbona, co-fondato da una siciliana. A loro sono andati i 130mila euro di premi banditi da Palazzo degli elefanti (tramite un percorso un poco tortuoso) e divisi rispettivamente in centomila euro ai primi (Park associati srl, Consorzio stabile R1 scarl, Coprat soc. coop.), ventimila euro ai secondi (architetto P. F. Calì e associati), diecimila euro ai terzi (Ternullo/Melo architects). A partecipare alla gara anche altri tre progetti: due valutati meno e un terzo escluso per una irregolarità nella documentazione presentata.
A guardare i masterplan, l’elemento che li accomuna tutti è il verde: parchi urbani dal faro Biscari a Ognina, quasi senza soluzione di continuità. Idee che potrebbero essere integrate nel piano regolatore generale che, in base alle promesse del sindaco Salvo Pogliese, dovrebbe essere pronto in un paio d’anni. E la vera sfida, ormai sono decenni che se ne parla, è restituire al capoluogo etneo il suo fronte mare. Come a Barcellona, si aggiunge di solito. O a Genova, per chi ha voglia di citare Renzo Piano. Il municipio catanese ha diviso in tre «ambiti» le aree d’interesse per i progettisti: la prima, da piazza Europa a piazza dei Martiri; la seconda, da piazza dei Martiri al faro Biscari, incluso il porto; la terza tra l’ex cementificio e il quartiere Angeli custodi. Per queste zone i professionisti avrebbero dovuto immaginare un futuro possibile, che in seguito dovrà essere progettato ma che, per il momento, ha bisogno di un’iniezione di idee.
Così, nel libro dei sogni dei masterplan proposti, largo a mobilità sostenibile e progetti per fare di Catania una smart city. In un caso, immaginando già la mobilità del futuro: veicoli senza conducente, per i quali pensare nuove strade e piazze. Nel mulino che gli architetti vorrebbero, non c’è spazio – per esempio – per l’ex Mulino Santa Lucia. Una «incongrua mole», secondo i vincitori del bando, che andrebbe interamente sostituita con nuovi edifici per nuove funzioni direzionali, ripensando l’interno dell’infrastruttura portuale e allontanando il più possibile gli uffici direttivi dalla costa. Restano in piedi gli Archi della Marina (che qualcuno dei progetti presentati avrebbe voluto «provocatoriamente» abbattere), ma che invece dovranno essere riqualificati: per lo più dovrebbero diventare una passeggiata verde e, in alcuni tratti, i binari della vecchia ferrovia (c’è il progetto di Rfi per interrarli) potrebbero essere utilizzati per delimitare gli spazi. La flora locale, mista a discese pedonali, dovrebbe delineare un percorso di accesso al mare, giacché da piazza Europa a viale Kennedy praticamente non si vede.
«Il progetto fa passare Catania da una situazione di perenne emergenza a una reale condizione di preparazione e resilienza», scrivono i vincitori nella loro relazione metodologica. In altri termini, l’obiettivo è utilizzare il rischio idrogeologico come una risorsa: centri di stoccaggio dell’acqua piovana da usare per più scopi (come fonte di calore attraverso la condensazione o, dopo i dovuti trattamenti, da distribuire nella rete urbana). E poi la creazione di una centrale mareomotrice per produrre elettricità dal moto ondoso. Un’energia completamente rinnovabile, che si potrebbe installare sfruttando la scogliera subito prima dei frangiflutti, e che a Catania non mancherebbe mai. Via la Cittadella giudiziaria dall’ex Palazzo delle poste (la prima sarebbe da spostare nella zona del Faro, il secondo dovrebbe diventare sede museale e co-working – dopo essere stato parzialmente abbattuto – insieme al vecchio complesso de Le Ciminiere). Il deposito delle locomotive di piazza Europa servirà da vetrina enogastronomica a metà del percorso progettato, dopo una piazza Giovanni XXIII ridisegnata, mentre il maxi-capannone ex Italcementi, immagine plastica dello sviluppo depotenziato, secondo gli architetti dovrebbe essere un’area da destinare all’università, per un insediamento che si occupi di ricerca e innovazione.
Stessa innovazione con la quale si guarda ai silos, attualmente protagonisti di una riqualificazione a suon di street art ma domani, in base al masterplan vincitore, giardino verticale con retrogusto di archeologia industriale. Riempiti di piante, circondati di scale per diventare terrazze con vista sul futuro anfiteatro a mare. Una specie di arena, ma meglio. A immaginare tutto realizzato, al di là dei disegni in digitale, altro che Barcellona. Ma l’orizzonte temporale è lontano quanto mai: almeno trent’anni per cambiare radicalmente il volto di Catania. Cioè lo stesso tempo che ci è voluto per finire neanche sei chilometri di metropolitana.
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