Variazione su tema ‘musica classica e pop’

Non era di certo la concert hall di una grande capitale europea la piccola stanza Medialab della Facoltà di Lingue in piazza Dante, ma le emozioni palpabili nel locale nulla avevano da invidiare a quelle di un pubblico comodamente seduto in ‘poltronissima’. E ha pure poca importanza che il pianoforte perda per l’occasione la sua elegante coda per trasformarsi in piano elettrico: le melodie che ne fuoriescono rimangono comunque degne del maestro che le esegue.

 

Si è tenuto ieri sera, nell’ambito del Laboratorio “Sono solo canzonette?” di Giuseppe Mirabella, l’incontro con il pianista Dario Forturello, che avrebbe parlato del rapporto tra musica classica e musica pop. Il condizionale si riferisce al fatto che una figura creativa come lui, certo non poteva fermarsi ad una boriosa lezione frontale.

 

Ma andiamo per ordine. L’artista, le cui grandi doti gli hanno valso attestati di merito e consensi in tutta Europa, negli ultimi anni sta girando il mondo in tournée, in qualità di interprete. Mirabile nell’esecuzione della classica, Forturello si fa tentare anche dalla composizione di musica contemporanea. Il maestro inoltre ha musicato alcune rappresentazioni teatrali. Ma l’animoso estro di Forturello non riesce proprio a contenersi ed accontentarsi, si fa allora volitivo di ulteriori conoscenze e scandaglia il campo della musicoterapia, su cui peraltro è chiamato a tenere numerose conferenze.

 

Piazzata la tastiera, Forturello comincia la sua lezione che alterna parlato a ‘musicato’. Prima corda toccata dal maestro è la differenza che vi è tra la figura dell’interprete e quella del compositore. Ruoli che quasi mai convergono nella stessa persona. Solo se parliamo dei grandi compositori classici quali Mozart, Beethoven, Schubert, Bach tale differenza viene meno, poiché loro, i ‘grandi del passato’, plasmavano le loro opere e le eseguivano di persona. La cosa che invece caratterizza la musica pop di oggi è vedere come l’interpretazione abbia di gran lunga scavalcato per importanza la fase della composizione. La prova evidente di ciò è data dal fatto che i cantanti più famosi diventano tali per il loro carattere e per il modo che hanno di interpretare un brano. Brano che spesso non è di loro creazione e che prima di giungere tra le loro mani è stato modellato e rimodellato più volte da compositore e produttore.

 

Alcuni compositori del passato, ci spiega Forturello, si limitavano a individuare un breve quanto apatico tema musicale per costruirci sopra tutta un’impalcatura che culminasse nella stesura di un brano di svariati minuti. Altri, come Tchaikovsky, prediligevano una melodia più completa e diversificata, vessillo ora di questo, ora di quel sentimento. Oggi una cosa del genere sarebbe impensabile. Così come il ‘grande’ compositore di ieri veniva considerato tale se proponeva soggetti che si prestassero a diverse variazioni, il ‘grande’ cantautore di oggi, deve fare i conti con i rimaneggiamenti del produttore e degli arrangiatori, per cui la canzone presentata inizialmente, diventa uno dei tanti prodotti da vendere che s’imprima nella mente di chi l’ascolta. Intro, strofa, ponte, ritornello sono meticolosamente studiati nelle canzoni che Forturello definisce ‘alla San Remo’. Come studiata è anche la fuga, a dispetto dell’opinione comune, in cui un tema prestabilito, fugge – per l’appunto – da una parte all’altra della scala melodica, sia con la mano destra, che con la sinistra.

 

Secondo Forturello è Beethoven a rompere la tradizione dei colleghi compositori/esecutori che scrivevano per dilettare il pubblico delle corti. Il suo ruolo acquista una nuova valenza, tentando di ottenere una rivalsa nei confronti della classe borghese: l’artista prende distanza dall’opera, diventando solo un tramite, asservito al concetto assoluto di musica. La sua musica, in particolare nell’ultimo periodo della sua vita, si apre a nuove sperimentazioni come nell’ “Inno alla Gioia” che ‘ospita’ una poesia di Schiller, fatto alquanto inusuale per una Sinfonia. 

 

Un esempio, invece, dei giorni nostri che rompe con la rigidità di certi schemi, è la musica napoletana. Verrebbe da sorridere, ma in effetti nei brani partenopei si utilizza una scala che ha forti assonanze con la musica orientale e per tale ragione spesso è difficile percepire dove inizi una strofa e dove cominci un ritornello. Improvvisazione su scala.

 

Frutto di pura improvvisazione sono ad esempio le prime canzoni dei Pink Floyd o i concerti di Keith Jarrett, uno dei più significativi musicisti contemporanei. Un pianista virtuoso e precoce che muove i suoi passi dal jazz e dalla libera improvvisazione.

 

Un punto interessante viene toccato poi quando si parla del rapporto tra musica e autobiografia dei compositori. Beethoven ad esempio passò il suo ultimo periodo di vita tra sordità, problemi nei rapporti sentimentali e litigi con la governante. In tale clima ci si aspetterebbe qualcosa di cupo, invece viene fuori l’ultimo movimento della Nona, comunemente conosciuto come “Inno alla gioia”.

 

Nell’ultima parte dell’incontro, Forturello, da grande e cordiale professionista qual è, si mette in gioco con in ragazzi e il loro capo carismatico Giuseppe Mirabella, eseguendo in estemporanea le canzoni scritte dagli stessi ragazzi e arrangiate dal loro docente. Valentina e Chiara, accompagnate dalla tastiera di Forturello e dalla chitarra di Mirabella, si prestano di buon grado ad interpretare due delle quattro canzoni già prodotte dal laboratorio e quel che ne viene fuori è un delizioso lavoro di studio e limatura che coinvolge le due cantanti e l’esecutore. Sarà probabilmente Dario Forturello ad eseguire i brani prodotti dai ragazzi allo scopo di creare un buon provino che sarà presto disponibile su CD per chi lo volesse ascoltare e fruibile anche tramite ‘Radio Zammù’, la radio sul web della Facoltà di Lingue che presto comincerà a trasmettere.


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