I genitori di Vanessa Scialfa, 20 anni, continuavano a chiamarla al telefono, ma lei non rispondeva. Allora Francesco Lo Presti, il suo convivente trentaquattrenne, li ha avvisati: in un primo momento ha detto loro che Vanessa era uscita per un colloquio di lavoro, poi che aveva ricevuto una telefonata dal suo ex fidanzato, si era arrabbiata e aveva spento il cellulare, infine che lui e Vanessa avevano litigato e che lei si era allontanata dopo la discussione. Martedì pomeriggio ancora non si sapeva che lui, sotto l’effetto di cocaina, Vanessa l’aveva uccisa. Che aveva avvolto il suo corpo in un lenzuolo grigio, rannicchiato per fargli occupare meno spazio, l’aveva caricato nel bagagliaio della sua auto ed era andato fuori città, sulla statale 122 che collega Enna con Caltanissetta, vicino alla miniera di Pasquasia. Lì ha gettato il cadavere della sua fidanzata sotto un guard rail, poi è tornato a casa.
La sera del 24 aprile, i genitori di Vanessa avevano capito che qualcosa non andava. Francesco Lo Presti, adesso detenuto nel carcere ennese, non li aveva convinti, si contraddiceva troppo spesso. «Ero sicuro che lui sapesse qualcosa afferma Giovanni Scialfa, il padre della giovane ma non avrei mai immaginato che l’avesse ammazzata». «Che l’avesse rapita, legata da qualche parte per non farla scappare via da lui, ma ammazzarla no, ammazzarla era troppo, non ci sarei mai arrivato», dice. Cerca di farsi forza, ma non ci vuole ancora credere, non vuole pensare che mentre lui raccontava le sue bugie, «lei già non c’era più, e io ancora speravo».
L’autopsia è stata disposta per oggi pomeriggio, «ma quasi certamente Vanessa è stata strangolata con il cavo della televisione, dopo che lui aveva già tentato di soffocarla con un fazzoletto». Giovanni Cuciti, dirigente della squadra mobile della polizia di Enna, ha un quadro piuttosto chiaro della dinamica dell’accaduto. «Dopo aver abbandonato il corpo della ragazza, Lo Presti ha fatto pulizia nella sua abitazione, ha tolto tutti gli elementi che potessero legarlo all’omicidio dichiara Poi li ha buttati nel cassonetto della spazzatura sotto casa». Allora comincia a fingersi preoccupato, a fare le ricerche, lucido. Il 25 aprile viene sentito dai carabinieri, interrogato per ore, ma continua a raccontare la sua versione dei fatti: un litigio, lui non lavorava e lei voleva lo facesse, in più la gelosia, poi Vanessa era uscita di casa e da quel momento in poi il silenzio. L’indomani, il 26 aprile, Francesco Lo Presti viene trovato dalla polizia in stato confusionale. «Voleva suicidarsi, diceva di voler andare a Catania, in un posto dove aveva incontrato una volta Vanessa, e ha cominciato a fare parziali ammissioni», racconta Cuciti. A quel punto gli agenti lo rassicurano: «Non preoccuparti, Vanessa è tornata a casa», gli dicono. E Lo Presti crolla: «Non può tornare, ho fatto una fesseria», confessa. Il movente del suo gesto sarebbe passionale: sembra che lei abbia sbagliato il suo nome in un momento di intimità. Pare che l’abbia chiamato Alessandro, come il suo ex fidanzato.
Dopo un’ora di ricerche nel posto confusamente indicato dall’assassino, il ritrovamento del corpo, aveva addosso gli abiti coi quali la cercavano: pantaloni sportivi neri e una maglietta gialla.
«Vivevano insieme da tre mesi, litigavano spesso, lui non mi piaceva», ricorda il padre. Vanessa per lui aveva lasciato il suo ex fidanzato, dopo tre anni, e sempre per lui aveva litigato con tutta la famiglia: «Non volevo che andasse via, ma era maggiorenne, poteva scegliere e io non potevo fermarla». «Domenica sera avevamo cenato insieme, lei era con me». E martedì non c’era più. Per Giovanni Scialfa, Francesco Lo Presti «non è un uomo, è al di sotto di un verme». Tra le lacrime, il genitore della ragazza non si dà pace: «Non sono riuscito a proteggerla, dovevo salvarla e non ce l’ho fatta», dice.
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