Tony Sciuto a giugno è finito ai domiciliari, poi la misura del divieto di avvicinamento. «Non deve passare il messaggio che rivolgersi alle forze dell'ordine è inutile», spiega a MeridioNews Anna Agosta, presidente del centro antiviolenza Thamaia
Vanessa e la denuncia che non è bastata per salvarla «Non ha funzionato la rete di protezione attorno a lei»
«Denunciare non serve a nulla». Il femminicidio di Vanessa Zappalà si porta dietro i pericolosi strascichi di una storia finita nel modo peggiore con una morte che, forse, poteva essere evitata. Anche perché la 26enne originaria di Trecastagni il suo ex, dopo la fine del loro rapporto, una convivenza tribolata e qualche titubanza nel rivolgersi ai carabinieri, aveva deciso di denunciarlo. Era l’inizio di giugno quando Tony Sciuto finì agli arresti domiciliari con l’accusa di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, lesioni personali oltre a porto di oggetti atti ad offendere e interferenze illecite nella vita privata della donna. Un rapporto finito ma non per l’uomo di 38 anni che iniziò a pedinare la vittima addirittura istallando un dispositivo gps sotto l’autovettura di Zappalà. Poi le offese in pubblico e le minacce di morte interrotte con la denuncia e l’applicazione degli arresti domiciliari.
A casa però Sciuto c’è rimasto soltanto pochi giorni grazie alla decisione del giudice delle indagini preliminare di trasformare la misura cautelare in un divieto di avvicinamento alla sua ex. In meno di due mesi la situazione è precipitata. Fino a ieri quando il 38enne ha ucciso la sua ex compagna sparando sei colpi di pistola calibro 7,65 mentre la donna si trovava, insieme ad alcuni amici, sul lungomare di Acitrezza. «Probabilmente non è stata fatta un’adeguata valutazione del rischio, anche se non conoscendo gli atti del procedimento non possiamo conoscere quali siano state le valutazioni della magistratura», spiega a MeridioNews Anna Agosta, avvocata e presidente del centro antiviolenza Thamaia. «Non ha funzionato anche la rete di protezione attorno alla 26enne», continua. L’ossessione di Sciuto per l’ex compagna non era un mistero con appostamenti e pedinamenti che erano stati notati dai vicini di casa della vittima e da alcuni amici. L’uomo l’avrebbe seguita anche nei pressi del bar, nel territorio di Pedara, in cui la donna lavorava.
«Non deve comunque passare il messaggio che denunciare non serve – aggiunge Agosta – Negli anni l’attenzione sui reati che hanno come vittime le donne è aumentata e la procura di Catania è molto attiva a riguardo». Non tutti i casi però possono essere trattati allo stesso modo e delle volte a non bastare è nemmeno l’introduzione del cosiddetto codice rosso, legge pensata per velocizzare la trattazione dei casi da parte dei magistrati. «La vittima deve acquisire sicurezza – continua Agosta – Chi si rivolge ai centri antiviolenza affronta un percorso specifico con la consapevolezza che spesso le minacce, o dei periodi di apparente quiete, possano sfociare in altro. La vera questione è che la violenza nei confronti delle donne viene ancora considerata un fenomeno emergenziale e non strutturale».
Nel caso specifico domande e considerazioni si concentrano sul divieto di avvicinamento a cui era sottoposto Sciuto. Qualcuno doveva controllarlo e non lo ha fatto? Esistono delle alternative a questa misura? «Il braccialetto elettronico è previsto solo per chi è sottoposto ai domiciliari – spiega la presidente del centro antiviolenza Thamaia – Quando viene applicato il divieto di avvicinamento di solito è la persona a segnalare le eventuali violazioni, che possono poi comportare un aggravamento della misura».