Stamattina a Lucca l'ex pilota dell'aeronautica militare ha raccontato la sua versione alla stampa. Inevitabile fare riferimento alla strage del 27 giugno 1980 e alla ricostruzione alla quale sarebbe giunto insieme al tenente Marcucci: «Servirà riascoltarmi senza paraocchi, ci sono morti a cui spetta la verità»
Ustica, capitano Ciancarella radiato con una firma falsa La verità dopo 33 anni: «Dirò ai magistrati la mia teoria»
Una
radiazione, un documento che porta addirittura la firma dell’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini e la scoperta, a distanza di 33 anni, che quella firma è stata falsificata. Sembrano gli elementi di un noir e invece sono fatti reali. A esserne, suo malgrado, protagonista è l’ex capitano pilota dell’aeronautica militare Mario Ciancarella. Uno di quelli che nell’ambiente militare «rompeva le scatole». Era leader, infatti, del Movimento Democratico delle forze armate, attraverso il quale denunciava le illegalità commesse nel suo stesso ambiente di lavoro. È soprattutto uno di quelli che, dopo la strage di Ustica del 27 giugno 1980, si mette a indagare. A lavorare insieme a lui all’indagine interna per risalire ai responsabili degli 81 morti precipitati con il Dc-9 dell’Itavia c’è anche il tenente colonnello Sandro Marcucci, suo superiore. Ma non fa in tempo a scoprire la verità, il tenente: muore il 2 febbraio 1992 in quello che viene definito un tragico incidente aereo. All’epoca della strage era uno stimato pilota dell’aeronautica. L’associazione antimafie Rita Atria nel 2012 presenta un esposto che, attraverso perizie scientifiche, di fatto smonta l’ipotesi dell’incidente. La denuncia viene accolta dalla Procura di Massa e il caso riaperto: si indaga contro ignoti per il reato di omicidio.
«Continuerò le indagini su Ustica. È vero che quelle ufficiali ormai sono finite, ma io potrò riproporre a dei magistrati che lo volessero le prospettive a cui eravamo arrivati io e il tenente colonnello Marcucci, poi toccherà a questi magistrati cercare le prove». Sono le prime battute del capitano Mario Ciancarella a MeridioNews, al termine della conferenza stampa di questa mattina tenutasi a Lucca, per discutere della recente sentenza del Tribunale di Firenze che dichiara falsa la firma dell’ex presidente della Repubblica Pertini apposta sul documento con cui Ciancarella veniva radiato con infamia nel 1983. «Credo tantissimo all’ipotesi e alle ricostruzioni cui sono giunto ormai anni fa», dice ancora il capitano riferendosi alle scoperte fatte sulla strage di Ustica, e aggiunge: «Mi sento molto sollevato e sono molto contento di una ritrovata, anche se faticosa, unità familiare. Sono molto amareggiato, invece, per quelli che mancano, cioè per quelli che hanno camminato con me e sono morti lungo la strada, purtroppo ammazzati».
Una radiazione falsificata, dunque illegittima, e un presunto delitto camuffato in incidente. Sono due fatti che da soli bastano a ritornare con la mente a quella sera del 27 giugno 1980. E che costringono soprattutto a
ripensare quella strage. «In un paese in cui è possibile che qualcuno firmi un decreto sostituendosi al presidente, perché non sarebbe possibile organizzare una strage?», dice Ciancarella durante la conferenza. L’ipotesi a cui giunge insieme a Marcucci negli anni in cui indaga è quella di una diretta responsabilità dell’Italia nella strage. A monte di questa teoria, c’è una telefonata che Ciancarella riceve dal maresciallo Mario Alberto Dettòri, in servizio la sera del disastro presso la stazione radar di Poggio Ballone e trovato impiccato a un albero il 31 marzo 1987: «Comandante siamo stati noi». È questa la frase che Ciancarella si sarebbe sentito dire. Una strage che il capitano suppone premeditata e realizzata dalle forze armate per conto dell’intelligence statunitense, che voleva far ricadere la colpa dell’attacco sul leader libico Gheddafi per poterlo, poi, arrestare o uccidere.
Un piano portato a termine malgrado i cambi di programma e gli imprevisti, e che avrebbe seguito una modalità tipica dei servizi segreti americani: il cosiddetto
attacco alla fattoria. Liberarsi, cioè, di un nemico facendo in modo che gli venga attribuito un crimine commesso usando le sue stesse armi. Nel caso di Ustica, il mig libico trovato sulle montagne della Sila il 18 luglio 1980, rispetto al quale è stata provata l’estraneità con quanto accaduto al Dc-9. «Sarà necessario riascoltarmi attentamente senza paraocchi – dice infine Ciancarella – Le domande sono molte e credo che non mi sia consentito di riposarmi, ci sono morti a cui spetta la verità o la pretesa di quella verità. Sono disposto come sempre a farmi interrogare da qualsiasi magistrato o organismo politico che sia tanto coraggioso da affacciarsi sul bordo dell’orrido. Gli anni che passano non possono tacitare la verità, le responsabilità per quelle morti sono imprescrittibili».