Più cemento ma meno verde, abitanti e soldi: da UniPa alla Spagna, lo studio sull’uso (e abuso) delle coste siciliane

Sempre più costruzioni e sempre meno verde. Ma anche meno abitanti e meno ricchezza. È lo stato dei circa 1600 chilometri di coste siciliane, che emerge incrociando immagini satellitari e dato socio-economici, in uno studio dell’università di Palermo in collaborazione con l’università di Cantabria, in Spagna. «Non costruiamo, insomma, né per abitare né per guadagnare: un uso decisamente poco razionale, e pericoloso, del territorio», riassume il docente di Ingegneria di UniPa Giuseppe Ciraolo, autore dello studio insieme al geologo e ricercatore Giorgio Manno e al dottorando Pietro Scala, elemento di collegamento con i colleghi Alexandra Toimil e Álvarez-Cuesta Moisés dell’Istituto di Idraulica ambientale dell’ateneo spagnolo. Lo studio – dal titolo Mapping decadal land cover dynamics in Sicily’s coastal regions, pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports – indaga la variazione nello spazio e nel tempo della vegetazione, della terra nuda e del terreno edificato lungo le coste (e non solo) isolane in 35 anni, dal 1988 al 2022. E lo fa introducendo alcune novità, innanzitutto di metodo.

Da sinistra: Giuseppe Ciraolo, Giorgio Manno, Pietro Scala

Conoscere meglio il territorio per difenderlo

Oltre all’incrocio di rilevamenti satellitari con dati socio-economici dell’Istat – per una programmazione, anche e soprattutto politica, di ampio respiro – innovativa è anche la scala d’indagine dello studio, finora mai così dettagliata, e l’uso dell’intelligenza artificiale. «Addestrata a riconoscere gli oggetti come case, sabbia, mare, alberi e così via, su miliardi di pixel, l’AI ha migliorato l’efficacia e diminuito la possibilità di errore rispetto alle vecchie informazioni spettrali, basate sul colore», spiega Ciraolo. Che aggiunge: «Io appartengo alla vecchia guardia, insegno dal 1995 ed ero diffidente ma – sorride – mi sono dovuto ricredere». È così che si è potuto fare un passo avanti rispetto all’unico attuale strumento di conoscenza delle coste siciliane: il Piano regionale antierosione costiera del 2020 (PRCEC). «Un documento con una scala molto ampia e classi di dati aggregate, senza livello di dettaglio – spiega il docente a MeridioNews – Noi lo abbiamo superato utilizzando immagini con elementi cellulari, i pixel, di cento metri quadrati, quindi estremamente accurati e dettagliati. Restando non solo disponibili, ma sperando anche di poter passare i risultati alla Regione Siciliana affinché siano utili per programmare meglio il territorio». Dalle esigenze di protezione civile all’agricoltura.

Lo stato di salute delle coste siciliane: i dati

Tutti settori in cui l’aumento del 47,3 per cento del territorio edificato – nei 35 anni considerati – provoca già più di un problema. Specie considerato che, sulla carta, i terreni urbanizzati sulle spiagge siciliane risultano invece solo lo 0,2 per cento in più. Una discrepanza che si spiega con le «molte proprietà abusive, che rappresentano il 40-60 per cento della costa», si legge nello studio. Con impatti ambientali duraturi che vanno «dall’erosione delle coste all’inquinamento delle acque, anche sotterranee». Effetti non omogenei lungo tutta la costa dell’Isola, circa il 30 per cento rocciosa e il 70 per cento, la più a rischio, sabbiosa o ghiaiosa. Se la parte nord-orientale presenta ancora una vegetazione molto fitta, nella zona meridionale – specie quella del ragusano – risulta ormai quasi assente, anche per effetto dell’alta concentrazione di serre agricole. Ma è la regione occidentale ad aver subito la perdita di verde più significativa: il 77 per cento della perdita totale dell’intera Sicilia. Che, quando non dipende direttamente dalle costruzioni – ma comunque «dalla manipolazione del territorio, come i cambiamenti di un corso d’acqua» – porta al terreno nudo, con forme di desertificazione. «In questi ultimi anni ho visto una cosa che credevo fosse impossibile – commenta Ciraolo – la morte a causa della siccità di alcuni ulivi, tra gli alberi più resistenti e capaci di gestire le riserve idriche». Ed è ancora una volta la regione meridionale a mostrare i trend più negativi anche per quanto riguarda l’erosione costiera (dal 4 all’8,5 per cento di spiaggia erosa nel 2022 rispetto al 1988), mentre qualche timido segnale positivo si registra nell’area tirrenica e lo stesso andamento si ha a est: peggiorando da Catania verso sud, e migliorando dal capoluogo etneo verso nord.

Tre casi studio: Salemi, Modica e Caltagirone

Non solo costa. A essere mappata nello studio è l’intera regione, studiando come lo sviluppo dell’urbanizzazione – partito dalle spiagge – si sia spesso spostato verso le aree interne. Come nel caso dei Comuni di Salemi, Modica e Caltagirone. Per motivi diversi ed esemplificativi. Se l’aumento del 380 per cento nell’urbanizzazione di Salemi si spiega con le necessità di ricostruzione successive al terremoto del Belice, sarebbero invece le necessità abitative quelle alla base dell’espansione edilizia del 485 per cento in più, rispetto al 1988, a Caltagirone. Ancora diverse, e per lo più turistiche, quelle invece dietro al più 435 per cento di Modica. Ma non solo: «Un esempio emblematico è rappresentato dalla zona tra la parte sud di Gela e Scoglitti, un’area agricola disseminata di serre che arrivano addirittura fronte mare – spiega Ciraolo – Lì le dune sulla costa sono state compromesse per costruire strade, case e altri servizi rompendo un equilibrio che apre ai fenomeni erosivi a cui stiamo assistendo, costringendoci a costruire delle barriere». Interventi che, combinati con il cambiamento climatico che non risparmia neanche il mare, «con l’azione del moto ondoso più forte che in passato, fanno sì che la sabbia che viene portata via non ritorni». Caso significativo, per il docente, è quello di Cattolica Eraclea, nell’Agrigentino: «Dove a causa dell’arretramento di 40-45 metri di spiaggia – racconta – il boschetto di pini dove andavo da ragazzo non esiste più». Una perdita per l’ambiente e per la biodiversità, ma non solo: «Gli allagamenti mettono a rischio anche le vite umane», sottolinea Ciraolo.

Le prospettive per l’Isola

Perché il maggiore uso del suolo, unito al minore apporto di sedimenti alle spiagge, ha diminuito la capacità delle coste di proteggerci dalle inondazioni. Rendendo necessario e urgente «adottare politiche che favoriscano uno sviluppo sostenibile». Anche a fronte del fatto che il sacrificio ambientale – e il potenziale pericolo sociale – non è ripagato da un aumento del reddito pro-capite: sulle coste dell’Isola, infatti, si costruiscono sempre più alberghi e serre – pensando ai due settori economici più rappresentativi dell’economia siciliana – ma non si incassano più soldi rispetto a 35 anni fa. I beni e le attività economiche, anzi, risultano essere più a rischio, per gli stessi effetti sulle coste. «Il tema, sempre più studiato negli ultimi anni, è quello del ripristino delle aree naturali, come i pantani o, in generale, le zone acquitrinose, modificate perché poco gradevoli ma con un ruolo tampone importante, sia in senso ecologico che idraulico», spiega Ciraolo. Considerazioni che segnano anche un cambio di passo nella filosofia degli attuali studi, che puntano a tornare indietro. «Se negli anni ’70 si pensava a intervenire – conclude il docente – oggi l’ingegneria idraulico-ambientale sta rivalutando gli approcci basati sulla natura, certamente più resilienti».


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