Stefano Paleari, a capo della Conferenza dei rettori, ha affrontato il tema nel corso di un evento organizzato dall'ateneo di Catania. In Sicilia il calo degli iscritti è del 22 per cento, «un dato drammatico». Ma il problemi riguardano anche la classe docente, precaria e con un'età media troppo alta
Università, il presidente Crui su crisi e soluzioni «In trent’anni perderemo uno studente su quattro»
«L’università è l’unica istituzione che può unificare il Paese». Eppure è stata terreno di tagli indiscriminati e riforme contestate. E, negli ultimi sette anni, di un calo drastico delle immatricolazioni che nel Meridione raggiunge il 22 per cento. A parlare del futuro del settore, nel corso di un evento organizzato da Unict, è Stefano Paleari, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane e a capo dell’ateneo di Bergamo. «L’università – ripete più volte il docente – è un bene pubblico, e come tale ritengo vada difesa e sostenuta dal governo, come invece non è stato fatto negli ultimi anni».
Il sistema universitario pesa cento euro su ogni italiano, mentre in Germania e in Francia si spende mediamente 300 euro. La Crui, organo consultivo che presiede e del quale fa parte anche il rettore etneo Giacomo Pignataro, si è opposta in sede di discussione ministeriale alle riduzioni imposte al Fondo di finanziamento ordinario. Le ultime arrivano dal documento approvato il mese scorso. Soprattutto perché «questi sacrifici sono chiesti ad alcuni e non altri», precisa Paleari.
A snocciolare i dati che riguardano la sicilia è Pignataro. «Dal 2007 seimila giovani siciliani hanno scelto di non iscriversi in un ateneo italiano: il 22 per cento in meno». Numeri che testimoniano la «progressiva riduzione dello spazio dell’istruzione pubblica nel nostro Paese e nel Meridione». «Il dato siciliano è drammatico», fa eco Paleari. Che pone l’accento sul confronto a livello internazionale. «L’Italia è l’unica nazione europea che diminuisce il numero di immatricolati. Se questo trend dovesse durare – avverte – intere generazioni, in posizione asimmetrica, sarebbero tagliate fuori da opportunità di lavoro qualificate». Aggiungendo anche l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità, «nei prossimi trent’anni perderemo uno studente su quattro in Europa. Paradossalmente con costi maggiori per la formazione».
Nota dolente è quella dei ranking. «La classifica ci può anche stare – concede il rettore bergamasco – Ma non è utile se anziché premiare il primo umilia gli ultimi». E prosegue: «Competere non significa eliminare chi non vince. Vuol dire correre per lo stesso obiettivo». Per far comprendere meglio i rischi legati a un’errata interpretazione dei dati, il rettore bergamasco spiega che «tutte le classifiche sono basate sulle attività di ricerca». E a Harvard – notoriamente tra le prime università a livello mondiale – la didattica presenta dei problemi. Per questo motivo consiglia di «costruire il nostro modello, non copiare gli altri».
Fino a pochi anni fa, racconta Stefano Paleari, erano tre i problemi principali avvertiti all’interno del mondo accademico: eccessiva durata dei mandati dei rettori, finanziamenti a pioggia, mancanza di un’agenzia di valutazione. «La 240 si è occupata del dieci per cento dei temi», dice riferendosi alle legge varata nel 2010. Risolti questi, ne restano di altri ancora senza soluzione. A cominciare dall’eccessiva precarizzazione, l’età media troppo alta degli ordinari – sono solo dodici quelli con meno di 40 anni -, accesso alla docenza bloccato, blocchi stipendiali. Anche in questo caso, un’azione finanziaria mirata potrebbe essere la soluzione. Spesso accomunate a qualsiasi altro ente territoriale, «ogni università deve avere proprie politiche sul diritto allo studio. Il ministero non può fare solo da sportello di imposta». E con quanti chiedono maggiori interventi da parte della Crui, che lascerà a settembre quando scadrà il mandato da rettore, è chiaro: «Noi possiamo avere un ruolo di proposta, non di tipo legislativo».