«Comunicare il patrimonio archeologico non solo agli accademici ma anche alla comunità locale». E’ questo l’obiettivo del
museo di archeologia dell’università degli Studi di Catania, da poco inaugurato nei locali di via Biblioteca. A sostenerlo è Claudia Cantale, la responsabile comunicazione di Officine culturali, l’associazione che ha in gestione il bene. L’incarico arriva al gruppo di promozione culturale dall’Unict nel 2011, un momento a partire dal quale «abbiamo iniziato a immaginare questo spazio come un ponte tra la ricerca pura e il territorio», sottolinea Cantale. Il piano di gestione e l’allestimento devono ancora essere ultimati ma l’idea è di rendere fruibile l’esposizione ogni giorno. Soprattutto perché la collezione ha una genesi lunga che parte nel 1898 ed è «l’unica nel suo genere godibile in città», continua Cantale. «Si tratta dell’unico museo italiano di proprietà di un ente universitario», aggiunge il direttore Edoardo Tortorici.
È proprio Tortorici – che è anche docente di Topografia antica nel dipartimento etneo di Archeologia nonché rappresentante dell’omonimo corso di laurea – a spiegare le origini del museo. «Il primo atto di costituzione risale al 1898 quando Paolo Orsi, uno dei padri dell’archeologia siciliana, regala a Unict dieci oggetti archeologici provenienti dagli scavi di Megara Iblea», racconta. Un nucleo che si arricchisce nel 1910 con i beni culturali acquistati dal docente di storia dell’ateneo catanese Vincenzo Casagrandi.
Il gruppo principale dei materiali oggi esposti, tra vicissitudini che si svolgono nell’arco di oltre un secolo, risale alle acquisizioni del professore di archeologia dell’Unict – poi anche preside della facoltà e rettore dell’ateneo – Guido Libertini. Insieme alla collezione di monete donate all’ente universitario dal marchese di Ventimiglia. Il materiale numismatico non è ancora presente nel museo per motivi di sicurezza, anche se campeggia già all’ingresso il mobile all’interno del quale è stato ritrovato. «Sappiamo che molte monete furono trafugate durante i moti del 1848-49 e che per tanto tempo non si seppe dove fosse l’intera raccolta. Fino a quando proprio Libertini non scoprì per caso il mobile che le conteneva in un sottotetto di Palazzo centrale», racconta Tortorici.
L’idea di creare un museo, seppure di lunga data, per molto tempo rimane solo una speranza. I fondi per realizzarlo arrivano negli anni ’90 grazie a un progetto che vede l’ateneo catanese collaborare con l’università degli Studi di Lecce. «A finanziare il cosiddetto Catania-Lecce è stata l’unione Europea, all’epoca io ero direttore del dipartimento di archeologia in città e ne conosco ogni fase», ricorda Tortorici. Gli stadi a cui si riferisce il direttore del museo riguardano il restauro, la schedatura e la fotografia dei beni. Ma soprattutto le analisi scientifiche fondamentali per distinguere i pezzi falsi – provenienti per lo più da antiquari della città di Centuripe – dagli originali. Un lavoro che arriva ai giorni nostri e al quale partecipano anche gli studenti dall’ateneo coordinati dai ricercatori Graziella Buscemi e Giacomo Biondi. «Ma le copie non le abbiamo buttate anzi, con molta originalità, abbiamo loro dedicato un’intera sala perché anche loro hanno una storia», dichiara Tortorici.
La collezione raccoglie in cinque stanze vasi, terracotte figurate, matrici, modellini, lucerne, mattoni bollati, frammenti di capitello corinzio e iscrizioni su lastre di marmo che coprono le età arcaica, classica, ellenistico-repubblicana, imperiale, tardo antica e medievale. Le spiegazioni sono semplici e per il momento affidate a dei grossi pannelli curati da un gruppo di studenti delle scuole superiori che hanno partecipato al progetto di Officine culturali e Unict Archeoscienza.
Gli oggetti sono «già stati in mostra al Paul Getty museum di Malibu e al Cleaveland museum of art», si inorgoglisce il direttore. Che annuncia: «Prevediamo di esporre nel corridoio che conduce al museo una serie di gessi di valore provenienti dalla collezione del professore Giulio Emanuele Rizzo che risalgono all’incirca al 1920». Ma, nonostante l’impegno, l’inserimento in un circuito di musei archeologi cittadini è una questione più complicata perché «c’è un meccanismo di questo tipo?», domanda ironico Tortorici.
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