Unict, il ritratto in chiaroscuro dai dati Almalaurea Cresce il numero di laureate, giudizio severo sui corsi

«Nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014, le regioni del Sud-Isole hanno perso costantemente capitale umano culturalmente avvantaggiato che ha deciso di migrare al Nord». Il quadro sconfortante emerge dal rapporto Almalaurea che ha coinvolto circa 230mila laureati in 64 università. Gli studenti si spostano là dove si «registrano tassi di occupazione più elevati, un’offerta formativa più varia e capillare, una migliore copertura delle borse di studio e atenei con una maggiore qualità della ricerca». Un flusso migratorio che «rischia di impoverire sempre di più le regioni meridionali e di innescare con il trascorrere del tempo un inasprimento delle differenze tra aree e gruppi sociali, ingessando la struttura sociale del nostro Paese». L’università di Catania non fa eccezione. 

Più volte il rettore, Giacomo Pignataro, ha lanciato l’allarme: diminuzione drastica delle immatricolazioni, necessità di migliorare l’orientamento in entrata, calo progressivo delle risorse economiche destinate agli atenei siciliani. Una situazione che, inevitabilmente, si riflette sulla comunità studentesca. Il profilo dei laureati degli ultimi dieci anni stilato dal consorzio Almalaurea analizza diverse condizioni: riuscita universitaria, condizioni di studio, soddisfazione, esperienze all’estero. Si tratta di un decennio particolare per il sistema universitario italiano, passato dalle lauree a ciclo unico a quelle del 3+2 voluto con la riforma del 2001 per poi virare nuovamente verso una visione quinquennale, con il lento e costante ritorno per molti corsi alle magistrali. 

A Catania il numero di dottori è passato da 5108 a 6885, con un picco nel 2007 di 7111. Cresce la percentuale di donne che ottengono la pergamena: nel 2004 erano il 57 per cento, l’anno scorso il 62 per cento. L’età media si mantiene quasi costante sui 27 anni. Sul capitolo ceto sociale, restano fermi i dati sui giovani provenienti da famiglie con fasce di reddito alte e medio-alte (rispettivamente il 19 e 21 per cento degli intervistati); aumentano i ragazzi provenienti dalle classi meno agiate, che vanno dal 21 per cento del 2004 al 30 dell’anno scorso.

Sale di dieci punti percentuali il numero di ragazzi che ha scelto un determinato corso di laurea per ragioni soltanto culturali: nel 2006 (anno dal quale è stato introdotto il quesito) erano il 25 per cento, nel 2014 il dato è del 34,8 per cento. Crescono il numero di studenti che attende due anni dalla maturità prima di iscriversi a un corso universitario e il numero di giovani che hanno conoscenze in inglese e in informatica, mentre la media degli esami si attesta negli ultimi dieci anni intorno al 26. Cala, invece, il voto finale: Dal 105 del 2004 si scende al 103,5 di dieci anni dopo.

Per quanto riguarda il ritardo negli studi, Catania si attesta al secondo posto per fuoricorso in tutta Italia. Si laurea nei tempi previsti solo il 29 per cento. Mediamente, il ritardo accumulato dai dottori classe 2014 è di quasi due anni; un gap che si sta comunque riducendo; dieci anni prima, infatti, era di tre anni.

Aumenta leggermente il numero di allievi che ha usufruito di borse di studio (da 28 a 32 per cento), si mantiene bassissimo quello di studenti che hanno fatto esperienze all’estero, solo l’otto per cento. Per il 91 per cento degli studenti catanesi nessuna adesione a progetti come quello Erasmus né viaggi personali fuori dai confini italiani. Cresce invece in maniera vertiginosa la percentuale di stage effettuati: 28 per cento nel 2004, 67 per cento nel 2014. Stabile il numero di studentilavoratori, anche se si tratta di impieghi che non hanno a che fare con il percorso di studi intrapreso. Sul piano dei progetti futuri, l’ambizione principale è il posto a tempo indeterminato, con la disponibilità a trasferirsi in Europa per un giovane su due.

Severo il giudizio dei dottori su Unict. Quelli pienamente soddisfatti dell’ateneo catanese sono il 27 per cento; solo uno studente su cinque è contento del rapporto con i docenti, con un carico di studio giudicato sostenibile solo dal 22,8 per cento degli allievi. Alla domanda se si riscriverebbero nello stesso corso quasi il 70 per cento dei dottori del 2004 ha detto sì. Oggi rifarebbe la stessa scelta il 55 per cento. Il 23 per cento cambierebbe proprio ateneo.


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