Lo scenario finanziario della Regione siciliana non lascia scampo. Per il Governo siciliano, guidato da Rosario Crocetta, è arrivato il tempo delle scelte. Quelle vere, fatte di atti concreti e coraggiosi.
Come sappiamo, la voragina scovata tra i numeri del bilancio regionale ha lasciato tutti col fiato sospeso. L’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi, aveva già parlato di un ‘buco’ da un miliardo di euro. A questo buco di un miliardo di euro circa dellanno passato si somma un altro miliardo di euro circa che manca allappello per mettere a punto il bilancio di questanno.
A questa cifra si aggiunge il prelievo imposto da Roma. Il Governo nazionale rende noto che la Regione siciliana, nel quadro del risanamento economico del nostro Paese, nel bilancio di questanno, dovrà accantonare 900 milioni di euro circa.
Siamo sicuri che la Regione siciliana deve ottemperare ai diktat della Capitale? Non proprio. Come spiega Massimo Costa, docente di Economia Aziendale all’Università di Palermo, tra i principali esperti in tema di Autonomia siciliana, in un commento al nostro articolo sull’ipostesi dissesto, “lo Stato italiano, dallanno scorso in poi, non solo sta violando lo Statuto, ma ora viola persino il Decreto 1074 del 1965 che, malamente, ha regolato la vita finanziaria della Regione nellultimo mezzo secolo”.
“Come ho detto più volte – ribadisce Costa – i trasferimenti dello Stato verso la Regione e gli enti locali, al contrario di quello che si dice correntemente, sono praticamente esauriti; una manciata di miliardi lanno, circa 5, non di più. Mentre quello che lo Stato spende direttamente, tra polizia, scuola, università etc. non raggiunge il doppio di questa cifra e si tratta di cifre ormai difficilmente comprimibili”.
“In pratica – aggiunge il docente universitario – lo Stato in Sicilia non dà più niente e non ha più niente da tagliare. Allora cosa hanno deciso di fare? Hanno deciso di violare la norma del 1965 che attribuiva alla Sicilia il 100 % del riscosso delle principali imposte dirette e indirette (oggi IRPEF, IRES e IVA)”.
“In realtà, conti alla mano, già di questo 100 % ne arriva circa il 65 %. E dellart. 37 dello Statuto neanche se ne parla. Ora, su questo gettito di imposte PAGATE DA NOI SICILIANI e che dovrebbero andare alla Regione ed ai Comuni siciliani, lo Stato intima di fare accantonamenti (sproporzionati) per far fronte allimmane debito pubblico italiano. E ovvio che si tratta di somme prelevate illegittimamente sotto ogni punto di vista, ma siccome lAgenzia delle Entrate non è mai passata alle dipendenze della Regione, come invece recita chiaramente lart. 37, questa prende ordini da Roma e viola ogni cosa”.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che Crocetta deve passare dalla teoria alla pratica.
Ha più volte dichiarato di volere applicare lo Statuto siciliano, soprattutto nelle sue previsioni finanziarie, per porre fine ad un’ingiustizia che dura da oltre 60 anni e che si è tradotta nella rapina costante delle risorse siciliane. E’ il momento di dimostrarlo. Con un’opposizione netta alle pretese romane e con atti concreti che vadano nella direzione dell’applicazione dell’articolo 37 dello Statuto, quello secondo cui le imprese che producono in Sicilia devono pagare qui le imposte.
Due passaggi che potrebbero salvare la Sicilia dal baratro. A questo punto, infatti, come ricorda il prof Costa “solo una Rivolta popolare anti-italiana potrebbe salvarci, anche se vedo che, sapientemente, lopinione pubblica è pilotata contro Palazzo DOrléans, anziché contro il vero nemico”. Ovviamente precisa Costa in un commento a questo articolo, “non si tratterebbe di una rivolta all’Italia come Nazione o al suo Popolo che patisce in gran parte le sofferenze inflitte dalla stessa dittatura tecnocratica e finanziaria. Oggi il nostro nemico è lo Stato italiano, finito nelle mani di quella tecnocrazia, e a questo mi riferisco”.
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