Una redattrice all’Opera

Medea, famosa tragedia greca di Euripide, al teatro Massimo Bellini: un’occasione irripetibile. Decido di andare, accompagnata da mia cugina e da una sua amica. Tutte e tre abbiamo letto e studiato la storia della principessa barbara, moglie abbandonata di Giasone, assassina dei suoi figli per vendetta. Però non conosciamo nessuna messinscena della tragedia euripidea e, soprattutto, non abbiamo messo piede nel tempio del bel canto catanese, il teatro Massimo Bellini.

La nostra avventura parte dal botteghino. Siamo studentesse e come tali abbiamo diritto (così si dice almeno) a uno sconto: solo sette euro a biglietto. Forti di questa consapevolezza, lodando chi si occupa di agevolarci, ci rechiamo alla biglietteria già con i soldi in mano.

Ma la delusione ci assale quando l’addetto ci dice che la convenzione con l’università non è stata ancora attivata. Lo fissiamo negli occhi, indignate, ma lui non può farci nulla, non è colpa sua. Stemperati gli animi, domandiamo se ci sono posti economici magari in galleria. “Sì” risponde. Ci sono otto posti in galleria per la modica cifra di 24 euro. Ma sono ubicati alle estremità, in fondo. “Caspita! Non si vede nulla da laggiù” esclamano le mie amiche in coro. Chiediamo al tipo, che nel frattempo si è spazientito, se ci sono altri posti migliori. Risponde nuovamente di sì. Sono i posti nei palchetti. Dubbiose e a occhi chiusi (per il semplice fatto che non abbiamo mai visto un palchetto di un teatro) rispondiamo che potrebbe andare bene. “E a quanto potrebbero essere nostri?”. “Costerebbero un pochino…” risponde. All’improvviso però un lampo nei suoi occhi ci induce a credere che non è ancora detta l’ultima parola per i nostri portafogli.

Controlla il computer e“Siete tutte e tre al di sotto dei venticinque anni?” Le mie accompagnatrici rispondono di sì senza batter ciglio. Rimango io che accenno una smorfia di stizza, facilmente interpretabile. Sono già rassegnata a pagare il prezzo pieno, quando il ras del botteghino mi guarda e con fare scherzoso mi dice: “Per questa volta facciamo che è nata nell’86”. Apprezzo il gesto e ricambio con un sorriso. Il tipo ci fornisce informazioni sul palchetto assegnatoci: è il numero 19 e si trova al terzo piano, quarto ordine.

Quando scostiamo le tende del nostro palco non possiamo credere ai nostri occhi. Le pareti e il pavimento sono rivestite di velluto rosso. Le poltroncine anche. Prendiamo posto l’una accanto all’altra. La visuale è fantastica. Sotto di noi, il palcoscenico. Dirimpetto ad esso, l’orchestra. In alto vi è un grande orologio. Poco più sotto, il display dei sottotitoli.

Senza renderci conto, si abbassano di colpo le luci. Il cicaleccio degli spettatori si placa. Si apre il sipario e parte l’orchestra. Fanno comparsa sulla scena le ancelle e Glauce, la donna che ruberà il consorte a Medea. Glauce è in preda alla paura perché sa che Medea non cederà alla sconfitta. E’ il primo atto. E’ iniziato da poco, ma non vedo l’ora che finisca. Le attrici non mi trasmettono nulla. Si evince solo la fierezza di Glauce. Al di là delle belle parole cantate (che non sento bene, né riesco a leggere sul display perché sono cecata) la donna sembra voglia dire: “Son Glauce, son ricca, e sposerò Giasone. E tu, straniera, non lo avrai mai”. A un certo punto le donne sulla scena intonano un’aria che dura forse mezz’ora. Sembra una nenia. Le palpebre si fanno pesanti: sto entrando in catalessi. Provo a resistere. Guardo le mie amiche: anche loro si stanno addormentando. Di colpo si sente un frastuono che sveglia tutte e tre (e non solo). E’arrivata Medea. Mia cugina, ripresasi dal quasi pisolino, esclama a voce bassa: “Mo’ so cavoli tuoi Glauce!” Sul palcoscenico le ancelle e il popolo si fanno da parte. Col volto nascosto da un fitto velo nero, la maga cerca Giasone. Ha l’aria minacciosa. Chiede conto dell’offesa, ma Creonte (re di Corinto) la scaccia. Come si direbbe a Catania: “Cunnuta e vastuniata”. Trova modo di restare sola con Giasone. Gli ricorda ciò che ha fatto per lui (grazie a lei ha conquistato il Vello d’oro). Giasone non l’ascolta. In effetti, penso, che senso ha implorarlo? Lei però non si arrende e giura vendetta alla rivale.

Il secondo atto è ancora più coinvolgente. Medea è vestita di rosso e scende agitata i gradini del palazzo. Entra la nutrice Neris. La informa che il popolo la vuole uccidere. Appare Creonte. Adirato le intima di andarsene da Corinto senza i suoi figli. Medea lo commuove e  riesce a strappargli ancora un giorno per trascorrerlo con loro. E cosa c’entrano i figli, penso. Tradita, umiliata, sfrattata solo perché è straniera, le strappano anche i figli…Che ingiustizia! Subito dopo Medea sente il popolo far festa per il matrimonio di Giasone e Glauce. Scossa e furiosa, prepara un diadema e un peplo dotati di potere infernale. Sono i doni destinati alla nuova sposa di Giasone. Alla fine esce dalla scena agitando in alto una fiaccola accesa.

Il terzo atto è quello più commovente. La nutrice giunge con i bambini. La maga gioca con loro. Poi, combattuta, tenta di ucciderli con un pugnale. Nel frattempo sul palcoscenico vengono proiettate le immagini di donne islamiche, uomini e bambini stranieri. D’un tratto l’arma le cade dalle mani. Abbraccia i figli piangendo, per poi respingerli gridando: “Lontano serpenti. Via da me!”. Sono le parole che fanno pensare al peggio. Scatenante è il comportamento disperato di Giasone quando vedrà morire Glauce. Medea ascolta i suoi lamenti ed è a quel punto che la maga non ci vede più. Rifugiatasi nel tempio, uccide i figli. Neris annuncerà la loro morte al popolo e al padre. Giasone non potrà rivederli più, così come lei non potrà più riavere lui. Vittime degli errori altrui. Quale madre potrebbe arrivare a tanto? Ciò che vedo adesso è solo un’infanticida. Cala il sipario. Gli spettatori applaudono. Anch’io lo faccio, mentre un brivido di compassione mi sfiora appena.     


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