L'integralismo nelle sue diverse forme costituisce una questione delicata. Ma per alcuni è di risoluzione fin troppo rapida. "Occhio per occhio. E il mondo diventa cieco"
Una ferita beante
Episodi di intolleranza etnica e religiosa sono pressoché all’ordine del giorno, alcuni dei quali di particolare rilievo. Come ha fatto notare qualcuno, era difficile immaginare che avremmo finito con il rimpiangere le canottiere di Umberto Bossi. Ma le iniziative a base di t-shirt di un buontempone come Calderoli lo hanno reso possibile.
Personaggi politici per i quali varrebbe seriamente la pena di ripristinare tanto l’istituto della camicia di forza quanto quello, altrettanto umiliante, della berlina, non sono i soli a fomentare un risentimento di carattere xenofobo. Anche i giornalisti fanno spesso la loro parte.
L’odio, il disprezzo, la semplice acredine verso qualunque cosa sia espressione di una diversità che troppa gente considera impossibile capire hanno provocato molti bagni di sangue in passato e continuano ancora oggi ad esserne i principali motivi ispiratori. I fatti della parigina banlieu sono un drammatico esempio delle conseguenze che può facilmente produrre un atteggiamento apertamente ostile nei confronti degli immigrati.
La recente programmazione locale di “Submission”, opera del regista Theo Van Gogh, (assassinato ad Amsterdam il 2 novembre 2004, N.d.R.) è stata probabilmente ispirata da ragioni molto nobili. Il cortometraggio girato dall’editorialista olandese denuncia la condizione della donna nell’Islam. Ma, mostrando le immagini di donne musulmane seminude che recano dipinti sul proprio corpo versi del Corano, adopera mezzi forse discutibili per farlo.
Il fanatismo va combattuto in qualsiasi forma. Senza quartiere. E la provocazione più o meno gratuita non è mai stata la risorsa più brillante per affrontarne le manifestazioni. Oggi come in futuro.