Una donna sospesa tra onestà e ipocrisia

Giovanna Di Rauso è la governante

Nella corrente stagione, il Teatro Stabile di Catania, diretto da Giuseppe Dipasquale, si segnala per una interessante ripresa, nuova di zecca de ‘La governante’, il dramma a suo tempo censurato (1952), dello scrittore sceneggiatore drammaturgo e saggista Vitaliano Brancati (Pachino, 24 luglio 1907 – Torino, 25 settembre 1954), per la regia dell’ottantenne Maurizio Scaparro, con le scene e costumi di Santuzza Calì, le musiche di Pippo Russo, luci di Franco Buzzanca, interpretato da Pippo Pattavina, Giovanni Di Rauso, Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano, Valeria Contadino, Veronica Gentili e Chiara Seminara che andrà in scena, in “prima” al Teatro Verga della città etnea la sera di venerdì 13 c.m. (è prevista una recita mattutina, riservata alle scuole, il giorno prima). Lo spettacolo, nei vari turni, verrà replicato fino al 3 febbraio p.v.
Il nuovo allestimento è espressione palpitante del corrente cartellone, volutamente dedicato dal direttore artistico al pianeta femminile, emblematicamente chiamato “Donne, l’altra metà del cielo”.
Si può affermare che il dramma della governante francese, mademoiselle Caterina Leher, delicata e desiderabile creatura, colta e di fede calvinista ma “cerbiatta”, accolta con tutto il rispetto per la sua persona e professione nella famiglia “onorata” di Leopoldo Platania, il sessantenne siciliano trapiantato a Roma, abitante in un elegante appartamento all’ombra “der Cupolone” è stato più volte proposto dallo stabile catanese.
Brancati, già trasferitosi dalla Sicilia a Roma, nel ’42 conosce al Teatro dell’Università l’attrice Anna Proclemer con la quale inizia un sodalizio umano e artistico che sfocerà, nel ’47, nel matrimonio e dal quale avrà una figlia, Antonia. Nel 1951 il commediografo siracusano, già collaboratore alle sceneggiature di film, quali ‘Guardie e ladri’, per la regia di Mario Monicelli e Steno (nome d’arte di Stefano Vanzina) e ‘Signori, in carrozza!’, regia di Luigi Zampa, scrisse ‘La governante’ che nell’anno successivo venne vietata dal Sottesegretariato per lo Spettacolo e le Informazioni, l’allora vigente ufficio di censura sotto il VIIº governo Alcide De Gasperi (con Mario Scelba, l’inventore della “Celere”, ministro agli Interni). Nello stesso anno pubblica, dopo i rifiuti della Bompiani e dell’Einaudi, presso l’editore Laterza di Bari, il dramma preceduto dal pamphlet “Ritorno alla censura”, ma ‘La governante’ viene messa in scena, per la prima volta a Parigi, nel 1963.
In Italia, abolita la censura, il lavoro brancatiano vede la luce il 22 gennaio 1965, ad opera di una Compagnia di prosa, all’epoca primaria che può vantare un primato indifferente nella realizzazione di spettacoli di ampio valore storico e culturale, quella di Anna Proclemer e di Giorgio Albertazzi, autodefinitosi polemicamente “Un perdente di successo”. La sera del 30 ottobre 1965, il sipario del Teatro Angelo Musco, nel centrale Corso Umberto I di Catania, sede storica dell’Ente Teatro di Sicilia (presidente il notaio Gaetano Musumeci, direttore il mitico Mario Giusti), si alza su questo atteso allestimento, ospite del proprio cartellone stagionale. Diretti da Giuseppe Patroni Griffi, Anna Proclemer è la governante, Gianrico Tedeschi interpreta il ruolo di Platania, Enrico figlio di Leopoldo Platania è Giancarlo Dettori, Fulvia Mammi ricopre il ruolo di Elena moglie di Enrico, lo scrittore Alessandro Bonivaglia (che tanto indispettì Alberto Moravia, per l’ironia insita nel personaggio) era Giorgio Albertazzi, “Jana la serva che i signori si erano portati dalla Sicilia (una giovanetta selvatica e ancora tutta istinto e verità naturale” (così descritta da Sandro de Feo nella cronaca teatrale pubblicata su “L’Espesso”), ingiustamente accusata di importunare la signorina Leher una spontanea e coinvolgente Serena Michelotti, il portiere che reca la notizia della morte della povera Jana, Giovanni Cirino. Completavano il cast Carlo Sabatini e Rosanna Chiocchia. Le scene erano di Ferdinando Scarfiotti. Il successo fu tale da indurre la Compagnia ad affrontare altra tournée, così nella stagione 1969-70, fermo restando la Proclemer e Tedeschi, interpreti principali e Giovanni Cirino, gli altri ruoli vennero interpretati da Pino Colizzi, Manuela Andrei, Franco Giacobini, Ileana Rigano, Anita Bartolucci.
Nella stagione 1984-1985, nella cadenza del trentennale della morte dello scrittore, al Teatro Verga, la sera del 3 gennaio 1985, è andato in scena il dramma per la regia di Luigi Squarzina e la produzione della Plexus T di Lucio Ardenzi. Ci sembra a questo punto giusto riportare quello che Domenico Danzuso, veterano titolare della critica drammatica de “La Sicilia”, ha scritto sul quotidiano, il 5 gennaio 1985: “Queste caratteristiche di realismo critico […] sono colte appieno da Luigi Squarzina, nella sua magistrale – ma anche cauta e rigorosa – visione registica, risentendosi in tutto lo spettacolo e in particolare nella superba personificazione di Turi Ferro, un Leopoldo Platania assolutamente autentico, ricco di risvolti ironici e perfino comici, ma nel contempo estremamente umano fino a quella crisi esistenziale di cui rimane, alla conclusione, vittima quasi incolpevole. Qui l’attore siciliano ha fatto proprio il personaggio, curandone non solo la parvenza ma soprattutto la sostanza; ecco allora le inflessioni, il gorgogliare della voce, la mimica, il gesto, l’incedere, il linguaggio, con le tipiche cadenze nostrane, farsi realtà concreta, essenza di un uomo antico, ma forte e debole a un tempo. Tanto più che accanto a lui si muoveva una Caterina resa da Carla Gravina con quel tanto di sincerità, ma anche di affettazione, di moralismo, e insieme di impulsività, da renderla oltremodo credibile nella difficilissima figurazione della donna sospesa tra onestà e ipocrisia. D’altronde l’attenta e autorevole mano di Squarzina s’è posta sugli altri personaggi con risultati sorprendenti: da ciò la realistica creazione della servotta Jana (un’Antonella Schirò, applauditissima), la resa di Mariangela Laszlo svampita e sciocca moglie “continentale” del figlio del Platania, nonché quella di quest’ultimo, impersonato da un Maurizio De Razza di vigoroso rilievo. Nel preciso schema della rappresentazione e senza alcuna sbavatura stilistica era poi la caratterizzazione fornita da Turi Scalia di un ignorante e ingenuo contadino di Sicilia, nonché l’ineccepibile presenza della cameriera lesbica offertaci da Gea Lionello. Sulla bella e cupa scena di Alberto Verso tesa a un’ambientazione indicativa di un preciso clima tragico, si diffondevano le note canzoni Anni Cinquanta, quasi a voler evitare equivoci di datazione per la commedia dati la mentalità che vi si dipinge e quei modi tutti particolari di vedere personaggi e situazioni”. Poi, in altra parte della recensione, commenta: “lo scrittore Bonivaglia (solo vagamente riconoscibile nella lucida e straordinaria interpretazione di Paolo Giuranna, quale contraltare ironico di Moravia), il quale, con la sua battuta che conclude la commedia, quel “Com’è triste la vita!”, è come se emanasse una sentenza irreversibile sull’inutilità dell’essere e del soffrire”.
Per indiscusso merito di Aldo Morgante, fondatore e direttore artistico della Cooperativa teatrale “Studio Uno”, che all’epoca agiva al Teatro Dante, Palermo tenne a battesimo, nella stagione 1994-95, un nuovo allestimento del dramma che affrontò una fortunata tournée che toccò, anche, la Svizzera italiana. Prodotta da Mario Chiocchio, (scene e costumi di Luigi Perego, musiche di Antonio Di Pofi, costumi di Sabrina Chiocchio), La governante fu interpretata Paola Pitagora, attrice seria e impegnata che deve la popolarità al ruolo di Lucia Mondella nella riduzione televisiva dei “Promessi sposi”, per la regia di Sandro Bolchi, nel 1967. Platania era Gabriele Ferzetti, mostro sacro del cinema e del teatro. Altri interpreti: Fiorella Rubino, Paolo Calabresi, Caterina Spadaro, Teresa Fallai e Turi Scalia. Giorgio Albertazzi rivestì i panni del solito Bonivaglia e curò la regia. Ferzetti, durante la tournée s’infortunò e fu brillantemente sostituito da Pippo Pattavina, l’attore di prosa coscienzioso ed espressivo, con una lunga gavetta di cantante e intrattenitore, molto conosciuto nel panorama teatrale siciliano (lo sarebbe molto di più se si fosse allontanato dalla sua Catania).

Pippo Pattavina è Leopoldo Platania

Ancora nella stagione 2001-2002 dello Stabile si registra la messa inscena dello stesso lavoro, per la regia di Walter Pagliaro e l’interpretazione di Andrea Johnasson e dello stesso Pattavina.
L’attuale allestimento di Scaparro rende merito al buon Pattavina, attore poliedrico, apparentemente “serioso”, che è riuscito a mantenere viva l’attenzione sul nostro teatro siciliano, nonostante il passare dei tempi e il dilagare di una televisione, spesse volte insulsa, nella quale lo abbiamo visto, qualche volta, partecipe di opere che hanno riscosso parecchi consensi, regalandoci – anche – momenti di sana ilarità. Caterina Leher è questa volta interpretata da una giovane e sperimentata attrice teatrale e cinematografica capuana, scoperta da Giorgio Strehler che la fece debuttare nel ruolo di Maddalena in una edizione de “I Giganti della Montagna. Si chiama Giovanna Di Rauso e certamente questo ruolo le gioverà tantissimo per la sua carriera, che auguriamo essere carica di successo. E lo stesso vale per gli altri componenti della Compagnia che si apprestano a recitare il miglior testo di Vitaliano Brancati, che Leonardo Sciacia ha qualificato come “lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell’erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti. Il fascismo e l’erotismo però sono anche, nel nostro paese, tragedia: ma Brancati ne registrava le manifestazioni comiche e coinvolgeva nel comico anche le situazioni tragiche». Non mancherà farle emergere ad un navigato regista quale è Maurizio Scaparro, che si è anche interessato di devianze e minoranze, il quale ha tenuto a scrivere, nelle note di regia: “[…] Riproporre al pubblico questa Governante è un segno, forse, che i fatti privati, i sentimenti personali, contano alla fin fine più di ogni altra cosa. E che finché continueremo a fare con il teatro delle esercitazioni di stile, sia pure ad alto livello, saremmo condannati all’insoddisfazione e alla crisi. O il teatro diventa specchio della nostra vita personale e segreta, ci rappresenta cioè a tutti i livelli, non soltanto a quelli intellettuali e ideologici, o saremmo ridotti all’alienazione e alla nevrosi. Ma alla censura di allora importava più che il tema dell’omosessualità femminile l’accusa pesante che le rivolgeva il personaggio dello scrittore, quella di essere spia della cultura conservatrice ipocrita e conformista dell’epoca. Ed è questo forse il lato più sorprendente e attuale del testo di Brancati, oggi. Quello di una Sicilia e di una Italia dei nostri padri e dei nostri nonni (dimenticato forse), certo sconosciuto ai più giovani, ma di cui è facile scoprirne ancora le tracce nella società italiana (non soltanto siciliana) oggi e che Brancati sottolinea nella sua Governante, da tutti i tabù sessuali, al gallismo, ai falsi moralismi, alle divisioni forzatamente etniche, alle censure, appunto, alle ipocrisie dei poteri “ufficiali” di tutti i tempi. In questi giorni, in questo anno appena iniziato, in cui l’Italia si interroga con grande preoccupazione sulla capacità o meno di esistere alle difficoltà economiche ma anche politiche, sociali, morali, culturali soprattutto, le parole di Brancati sembrano così sorprendentemente superare il confine ristretto degli anni Cinquanta, che pure le avevano espresse. «Spirito di sacrificio? No. Non ho visto mai un ricco italiano proporre una legge che riduca i suoi guadagni per aumentare il benessere del suo Paese», dice ancora lo scrittore de La governante. Forse anche per questo, mi piace dedicare questa nostra fatica, non soltanto a un divertito e tenero “come eravamo”, ma al “come sapremo essere”. Ai giovani, quindi, e al teatro, se saprà, come nei secoli ha saputo fare, aiutarci a costruire nuovi sogni e nuove realtà”.
Cosa c’è scritto sulla viva pietra dell’archetipo del Teatro Massimo di Palermo? “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”.

Foto di Antonio Parrinello


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